In questa torrida estate 2025 la notizia che il Tar del Piemonte decida di fare chiudere la “Stanza dell’ascolto” all’ospedale sant’Anna mi fa rabbrividire.
La giustificazione data è che la convenzione voluta dalla regione Piemonte, siglata tra la città della salute di Torino e l’associazione pro-vita che la sta gestendo da settembre del 2024 , non sia conforme alla legge.
Le ragioni che hanno portato i giudici a sentenziare illegittima la stanza dell’ascolto pare si concentrino sulla mancanza di competenza delle persone che avrebbero dovuto sostenere la donna intenzionata ad interrompere la gravidanza.
L’associazione inoltre si sarebbe avvalsa di volontari la cui professionalità sarebbe stata garantita solo dal presidente dell’associazione senza ulteriori verifiche.
Infine pare che lo statuto dell’associazione pro-vita entri in conflitto con la l 194/78 dichiarando di essere contro ogni provvedimento che voglia introdurre e legittimare pratiche abortive.
Naturalmente poi i ringraziamenti a CGIL, ai vari avvocati e all’associazione “Se non ora quando” si sprecano.
È tutta una riverenza, un baciamano, un esultare di gioia.
Che grande vittoria! Sembra che questi uomini, queste donne abbiano atteso questo momento con un’ ansia incontenibile.
Vorrei provare a capire le motivazioni che hanno portato i giudici a decidere di cacciare i volontari pro-vita dall’ospedale.
Le prima due si riferiscono alla mancanza di competenza del personale che avrebbe dovuto incontrare le future mamme per provare a capire insieme a loro se qualcosa si poteva ancora fare per salvare il bambino.
Letta così potrebbe anche apparire come una motivazione nobile. Se il problema è la mancanza di professionisti perché non cercare personale ( volontario) con competenza? Perché decidere di chiudere tutto?
Si dice poi che lo statuto dell’associazione pro-vita con le sue dichiarazioni provita appunto, entri in conflitto con la 194 in quanto loro dichiarano di essere contro l’aborto e la legge che lo promuove.
Bè, anche qui, mi pare una motivazione molto strana. Cosa potrebbe mai scrivere nel proprio statuto un’associazione che si forma con l’intenzione di salvare vite?
Di sicuro non avrà scritto che proverà ad imporre in ogni modo ad impedire l’interruzione di gravidanza ma, agendo nel pieno rispetto della donna, proverà a capire se la sua scelta è del tutto consapevole o se magari ci potessero essere dubbi tali da farle cambiare idea. Dubbi già presenti dunque ma nascosti da tutto quel susseguirsi di emozioni e paure tipiche di una mamma che scopre di essere in attesa.
Personalmente tutto questo mi appare confuso.
“Oggi si scrive una bella pagina per i diritti e la dignità delle donne nel nostro Paese”.
Ed io personalmente vorrei stare fuori da questa “bella pagina” tra le cui righe è esaltato il diritto e la dignità delle donne di uccidere il proprio figlio.
Non ci vedo niente di esaltante ad impedire il lavoro dei volontari per la vita. Non vedo calpestati i diritti di nessuno nel provare a “vedere se qualcosa si può ancora fare…”
Leggo tra le righe di questa sentenza un accanimento verso la vita nascente sostenuta da chi si fa scudo con la favola dei diritti negati.
Queste persone sono in realtà le prime a non avere a cuore i diritti dei più deboli
Sono coloro i quali, celati dietro la maschera buonista e moderna, favoriscono la cultura dello scarto perché la ritengono una minaccia alla libertà delle donne.
In realtà l’aborto rappresenta una minaccia per la dignità umana perché infierisce su chi non dispone dei mezzi per difendersi .
Si giustificano questi presunti difensori di diritti, con la storiella del grumo di cellule, favoletta smentita dalla scienza la quale ha dimostrato che, già a partire dal terzo mese il piccolo nella pancia è perfettamente in grado di percepire suoni, rumori, emozioni della mamma. Secondo alcuni studi è anche dimostrato che già nelle prime settimane di gestazione il feto ha tutte le capacità anatomiche e neurochimiche per provare dolore.
L’aborto sia chimico che chirurgico è una vera e propria barbarie e questo è riferito da medici come Bernard Nathanson e Antonio Oriente i quali si accorsero, attraverso nuovi strumenti ecografici di cosa realmente stessero facendo e che “quell’ urlo silenzioso” che si percepiva attraverso il frenetico movimento di fuga del feto, era l’affannoso tentativo del piccolo di salvarsi la vita minacciata dall’aguzzino.
Questa scioccante presa di coscienza per entrambi i ginecologi sentenziò un radicale cambiamento di vita tanto da farli diventare fervorosi sostenitori della vita nascente e fare loro dire “mai più fino alla morte”.
Alla luce di queste dichiarazioni definire la sentenza del Tar di chiudere la Stanza di chi crede che la vita nascente meriti rispetto, una bella notizia, è inaccettabile .
Trovo questa decisione violenta verso le donne, verso chi sa che la vita inizia con il concepimento ma soprattutto trovo sia violenta verso la vita nascente, che merita rispetto e la possibilità di venire al mondo.
Angela D’Alessandro
Prolife insieme