Sicilia,sotto attacco il diritto all’obiezione di coscienza per la 194

Il Magistrato di Cassazione, dott. Giacomo Rocchi, sul disegno di legge regionale siciliana che prevede l’assunzione riservata a non obiettori di coscienza.

https://itacanotizie.it/2025/04/03/sicilia-basta-ipocrisie-donne/

https://www.primapaginamazara.it/sanita-approda-allars-norma-legge-194-per-lassunzione-di-personale-non-obiettore-nelle-strutture-pubbliche

1. Il disegno di legge n. 73862 del 12/2/2025, esitato dalla Sesta Commissione dell’Assemblea Regionale Siciliana il 12 marzo 2025 prevede, all’art. 3, che, ai fini dell’applicazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, le Aziende del servizio Sanitario regionale istituiscono, laddove non siano già previste, le aree funzionali dedicate all’interruzione volontaria della gravidanza in seno alle Unità operative complesse di Ginecologia e Ostetricia.
Prevede, ancora, che le Aziende Sanitarie e ospedaliere, nell’ambito delle ordinarie procedure selettive di reclutamento, dotano le aree funzionali in questione di idoneo personale non obiettore di coscienza. I bandi di concorso, in tali casi, prevedono apposita condizione di risoluzione del contratto di lavoro, qualora il personale non obiettore assunto si dichiari successivamente obiettore, secondo le modalità di cui all’art. 9 della legge 194 del 1978.

2. Si tratta di norma palesemente illegittima e del tutto ingiustificata.
In primo luogo, deve essere smentita la narrazione secondo cui, per colpa dell’alto percentuale di medici obiettori di coscienza, in Sicilia la possibilità per le donne che intendono abortire è negata. Secondo alcuni, si tratterebbe di un “diritto negato”, nei fatti “quasi impossibile da ottenere”.
La Relazione ministeriale sull’attuazione della legge 194 presentata al Parlamento nazionale dimostra, in primo luogo, che il numero delle donne siciliane che hanno fatto ricorso all’IVG nell’ambito della stessa Regione – che, cioè, non sono dovute recarsi in una regione differente – è pari al 94,5% del totale, a dimostrazione che, contrariamente a quanto si sostiene, il “servizio IVG” è ampiamente offerto e utilizzato dalle donne siciliane (Tab. 2.8) (vi è anche una percentuale di donne non residenti in Sicilia che hanno eseguito l’intervento nella Regione). In Sicilia sono state effettuate 4.374 IVG (tab. 1).
I tempi di attesa tra il rilascio del “certificato” e l’esecuzione dell’intervento sono assai bassi: nel 72,6% dei casi inferiori a 14 giorni (per legge non possono essere inferiori a sette giorni), nel 18.5% dei casi tra 15 e 21 giorni e nel 6% dei casi tra 22 e 28 giorni: ciò significa che in oltre il 95% dei casi l’interruzione di gravidanza viene eseguita nelle tre settimane successive alla scadenza dei sette giorni dal rilascio dei certificati: tempi non riscontrabili per nessun altro intervento di carattere sanitario (tab. 3.6).
L’efficienza del servizio si ricava anche dal numero dei giorni di ricovero: nell’85,5% dei casi l’interruzione di gravidanza viene eseguita in regime ambulatoriale senza ricovero (tab. 3.13).
Secondo le rilevazioni ministeriali, ben 26 strutture con reparto di ostetricia e/o ginecologia praticano in Sicilia l’IVG (tab. 4.1): un dato che smentisce clamorosamente la “favola” secondo cui il “diritto” ad abortire sarebbe negato nella Regione.
Più specificamente, i Punti IVG disponibili ogni 100.000 donne in età 15 – 49 anni (un parametro che descrive la reale possibilità di accesso ai servizi IVG in Regione) è quasi pari al dato nazionale (2,6 rispetto al dato nazionale di 2,9, tab. 4.2) e nettamente superiore ai dati di altre Regioni.
L’irrilevanza del numero di medici obiettori su questi dati si ricava anche dal carico medio settimanale per ginecologo non obiettore (tab. 4.3): ogni medico non obiettore eseguirà, in media, 1,5 IVG a settimana: quindi dedicherà a questa pratica un lasso di tempo molto ridotto. Le difficoltà che si possono presentare in specifiche strutture (in una struttura siciliana il carico medio per i medici non obiettori è di 6,09 IVG a settimana: in realtà, poco più di tre – quattro ore alla settimana) devono essere risolte localmente, se del caso con il ricorso alla mobilità del personale (cfr. paragrafo seguente) e non giustificano affatto la proposta di cui si discute.

3. La proposta di legge regionale, inoltre, è illegittima perché viola clamorosamente la legge 194 del 1978.
In effetti, l’art. 9 della legge 194, che regola l’obiezione di coscienza del personale sanitario  all’esecuzione degli interventi abortivi, stabilisce che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’art. 78 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza … la regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.
Quindi, è la stessa legge nazionale ad indicare le modalità con cui la Regione deve garantire il “servizio IVG”: la mobilità del personale non obiettore. Pertanto, se un ospedale compreso tra quelli che eseguono tali interventi non è in grado di garantire il servizio perché tutti i medici che lavorano presso lo stesso sono obiettori di coscienza, provvederà a conferire l’incarico ad un medico non obiettore che non lavora in quell’ospedale.
La Relazione Ministeriale ricorda che “alcune strutture hanno dichiarato di avere effettuato IVG pur non avendo un organico ginecologi non obiettori, dimostrando la capacità organizzativa regionale di assicurare il servizio attraverso una mobilità del personale non obiettore presente in altre strutture, dando applicazione alla legge 194 del 1978”.
Quindi, il metodo indicato dalla legge 194 è pienamente realizzabile. Del resto, come riporta la relazione ministeriale, si tratta di metodo già utilizzato in tre delle 26 strutture della Regione Sicilia che eseguono IVG (cfr. Appendice A alla Relazione ministeriale).

Si tratta, a ben vedere, di una soluzione del tutto coerente con la situazione che si è appena descritta con i dati ministeriali.
Se un medico non obiettore di coscienza è destinato a eseguire interventi abortivi per una – due ore alla settimana, che senso ha riservare l’assunzione per le aree funzionali dedicate all’IVG ai medici non obiettori? La risposta è che – essendo ovvio che quei medici non potranno stare con le mani in mano per le restanti 38 ore della settimana – essi saranno coinvolti nelle attività dell’Unità operativa complessa di Ginecologia ed ostetricia.
Ecco che emerge l’obiettivo discriminatorio del disegno di legge regionale: i medici obiettori di coscienza non devono entrare nei Reparti di Ginecologia ed Ostetricia, anche se sarebbero destinati al complesso delle prestazioni rese in quei reparti! E se un medico si permetterà di dichiarare la propria obiezione di coscienza, deve essere cacciato e il suo contratto risolto!

4. In definitiva: il quadro del “servizio IVG” in Sicilia non giustifica affatto il disegno di legge regionale: l’aborto volontario è garantito da numerose strutture situate all’interno della Regione (26 secondo la relazione ministeriale; secondo alcune interviste anche in numero superiore), il cui numero è pienamente adeguato rispetto alla popolazione femminile in età fertile; i tempi di attesa tra il rilascio del “certificato” e l’esecuzione dell’intervento sono assai brevi, pienamente in linea con gli standard nazionali; il servizio è efficiente; i medici non obiettori non sono affatto gravati di un carico insopportabile; le possibili difficoltà locali possono essere superate facilmente con la mobilità del personale non obiettore, come indicato dalla legge 194 e come avviene nel resto d’Italia.

Non esiste affatto – contrariamente a quanto sostenuto da un deputato regionale – un “muro di difficoltà dovuto all’altissimo numero si obiettori di coscienza nella regione”.
Esiste, invece – ed emerge in modo evidente – un odio ideologico nei confronti dei medici obiettori di coscienza; i proponenti della legge regionale sbandierano il dato dell’85% dei medici obiettori di coscienza in Sicilia: dato certamente confortante – perché abbiamo bisogno di medici che ascoltano la loro coscienza! – ma che in nessun modo incide sulla possibilità di ricorrere alle procedure previste dalla legge 194 del 1978.

5. Per concludere questa prima parte: se davvero l’aborto è un “diritto negato”, abbiamo dei casi in cui una donna ha promosso un’azione contro la Regione o un ospedale per essere stata costretta a partorire perché le era stato impedito di abortire dalle strutture cui si era rivolta?

6. Analizzando il disegno di legge regionale dal punto di vista strettamente giuridico, è indubbio che l’art. 3, terzo comma comporta sia una discriminazione nei confronti dei medici obiettori di coscienza, sia una limitazione del diritto all’obiezione di coscienza. La discriminazione e la limitazione del diritto si estendono, ovviamente, a tutto il personale sanitario, in particolare agli infermieri.
La discriminazione deriva dal fatto che i medici e i sanitari obiettori di coscienza non saranno ammessi ai concorsi pubblici relativi al reclutamento del personale sanitario nelle Unità operative complesse di Ginecologia ed Ostetricia.
Abbiamo già visto che – poiché il carico di lavoro relativo agli interventi di IVG per i medici non obiettori è limitato a pochissime ore alla settimana – in realtà i bandi di reclutamento riguarderanno non le singole “aree funzionali dedicate all’IVG”, ma le Unità Operative complesse di Ginecologia ed Ostetricia cui i sanitari reclutati dovranno essere assegnati. I medici e i sanitari obiettori di coscienza non saranno ammessi a quei bandi o ad alcuni di essi.
Invece, la previsione secondo cui “i bandi di concorso prevedono apposita risoluzione del contratto di lavoro, qualora il personale non obiettore assunto si dichiari successivamente obiettore, secondo le modalità di cui all’art. 9 della legge n. 194 del 1978” costituisce un limite normativo all’esercizio del diritto. Come recita la stessa norma del disegno di legge, l’art. 9 della legge 194 prevede che il sanitario possa in qualsiasi momento dichiarare l’obiezione di coscienza: in Sicilia, questa possibilità – riconosciuta come diritto soggettivo del sanitario – se esercitata, sarà punita con la perdita del lavoro: quindi, una vera e propria limitazione del diritto, come disegnato dal legislatore nazionale.

7. L’obiezione di coscienza per i sanitari è un diritto costituzionalmente riconosciuto e inviolabile.
Si tratta di un diritto fondamentale dell’uomo.
Già la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo individua la coscienza come ciò che contraddistingue gli esseri umani: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza” (art. 1), cosicché “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione” (art. 18).
Analoga importanza attribuisce alla coscienza la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: in base all’art. 9, “Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”.
Abbiamo ricordato i trattati internazionali che garantiscono la libertà di coscienza dei cittadini; è stato posto in evidenza che l’attuazione pratica di questa libertà è un indice della natura democratica o totalitaria dello Stato.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, nel trattare dell’obiezione di coscienza, lo ha affermato espressamente: “ciò che è protetto dall’Articolo 9 della Convenzione, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, è uno dei fondamenti di una “società democratica” ai sensi della Convenzione. (…) Si tratta del pluralismo, conquistato a caro prezzo nel corso dei secoli e da cui dipende il tipo di società (…) Il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura sono le caratteristiche di una società democratica. Benché sia necessario talvolta subordinare gli interessi individuali a quelli di un gruppo, la democrazia non significa semplicemente la supremazia costante dell’opinione di una maggioranza: deve essere raggiunto un equilibrio che garantisca l’uguaglianza di trattamento delle persone appartenenti alle minoranze ed eviti qualsiasi abuso della posizione dominante” (Corte europea dei Diritti dell’Uomo, caso Ercep contro Turchia, 22/11/2011).
Uno Stato che, legittimando pratiche che la coscienza rettamente formata può rifiutare, se non riconosce il diritto all’obiezione di coscienza, perde il carattere di Stato democratico e si avvia verso il totalitarismo. Di tale posizione si riscontrano tracce evidenti nella società, con posizioni pubbliche che esprimono disprezzo e intolleranza nei confronti degli obiettori di coscienza.

Il riconoscimento dell’obiezione di coscienza è un obbligo costituzionale per il legislatore, quando approva leggi che consentono condotte che contrastano con la coscienza di parte dei cittadini.
L’art. 2 della Costituzione afferma che la Repubblica “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”: la norma non si riferisce soltanto agli specifici diritti espressamente riconosciuti (diritto alla libertà personale, inviolabilità del domicilio, libertà di manifestazione del pensiero, libertà di associazione ecc.), ma ad una serie di diritti preesistenti allo Stato che, infatti, li “riconosce”, non li crea, e li “garantisce”, cioè li tutela in una forma giuridicamente efficace.
Ebbene, la Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato che dall’art. 2 della Costituzione discendono direttamente sia la tutela del diritto alla vita del concepito (sentenze nn. 27 del 1975 e 35 del 1997), sia la garanzia del diritto all’obiezione di coscienza. In particolare, con la sentenza n. 467 del 1991, la Corte affermò con decisione che “a livello dei valori costituzionali, la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell’uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico”: quindi, se non c’è protezione della libertà di coscienza, vengono messi in pericolo quegli stessi diritti che pure la Costituzione afferma di voler garantire. Tanto è importante la tutela della libertà di coscienza “da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate dall’assolvimento di doveri pubblici qualificati dalla Costituzione come inderogabili”.
La recente vicenda della parziale legalizzazione dell’aiuto al suicidio ha mostrato come la Corte Costituzionale sia sempre attenta a questo tema: l’ordinanza n. 207 del 2018 conteneva suggeriva al legislatore (che, secondo gli auspici della Corte, avrebbe dovuto provvedere a legiferare sul tema) di contemplare “la possibilità di una obiezione di coscienza del personale sanitario coinvolto nella procedura (di suicidio assistito medico)”; la sentenza n. 242 del 2019 costituisce una conferma della obbligatorietà del riconoscimento dell’obiezione: la Corte, infatti, avendo reso lecito in alcuni casi l’aiuto al suicidio da parte dei medici, ha osservato: “Quanto al tema dell’obiezione di coscienza del personale sanitario, vale osservare che la presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita ad escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici. Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico se prestarsi, o no, ad esaudire la richiesta del malato”.
Come si vede, non si provvede sull’obiezione di coscienza perché si nega l’esistenza di un obbligo per i medici di intervenire, la cui coscienza (espressamente menzionata dalla Corte) è integralmente tutelata.

8. La natura di diritto inviolabile dell’uomo comporta due ovvie conseguenze.
In primo luogo, la Regione Sicilia non può assumersi la responsabilità politica di negare o limitare un diritto inviolabile dell’uomo, riconosciuto a livello internazionale e tutelato dall’art. 2 della Costituzione.

Ma, anche dal punto di vista giuridico, la regolamentazione dell’obiezione di coscienza riguarda l’ambito dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale: ma, ai sensi dell’art. 117, comma 1, lett. m) della Costituzione, lo Stato ha legislazione esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti; sugli stessi, la Regione non può legiferare.
In sostanza, l’art. 9 della legge 194 del 1978 (così come le altre norme che regolano l’obiezione di coscienza in altri ambiti, quale la procreazione medicalmente assistita, la sperimentazione animale e, in passato, il servizio militare obbligatorio) costituisce norma con cui il legislatore nazionale disegna e delimita questo diritto soggettivo: prevedendo che esso sia riconosciuto a tutto il personale sanitario e che il suo esercizio non sia condizionato ad alcuna valutazione altrui (si esercita, infatti, con dichiarazione non motivata cui conseguono direttamente gli effetti previsti dalla legge).
Risulta impensabile – e contrario alla Costituzione – che una Regione possa disegnare e limitare il diritto fondamentale in maniera difforme da quanto già lo Stato ha fatto.

Dott. Giacomo Rocchi. Magistrato di Cassazione
Comitato “ Pro-life insieme “

http://www.prolifeinsieme.it