Egregio Direttore,
Leggo sempre Il Giornale e mi ha colpito la notizia riportata della challenge tra adolescenti “ Non so chi è il padre”. Resta incinta a 14 anni per la folle sfida della “ sex roulette”.(https://www.ilgiornale.it/news/nazionale/non-so-chi-padre-folle-challenge-social-sex-roulette-2372484.html)
Per noi del Comitato “ Pro-life insieme”, volto a sovvertire la mentalità abortista diffusa nella nostra società, queste scelte dei giovani sono motivo di riflessione profonda. Se è vero che oggi vige il dogma di “ Sensation seeking”, ricerca del rischio ( non una novità, peraltro), che però tale sfida con se stessi si applichi alla sessualità, si può ritenere un fenomeno allarmante.
La sfida con se stessi come dipendenza
Possiamo invocare le scienze psicologiche per spiegare tale sfida come forma di dipendenza:(https://www.istitutobeck.com/psicoterapia-disturbi-psicologici-terapie/le-nuove-dipendenze )
“Le nuove forme di dipendenza sono correlate al tipo di società e di contesto di appartenenza. L’insicurezza economica e sociale all’interno della quale gli individui si muovono, gli stili di vita stressanti, veloci e multi-tasking, basati sulla competitività e sulla spinta all’azione, da un lato generano stress, noia e frustrazione, dall’altro spingono alla ricerca dell’immediata gratificazione.”
La reale comprensione del rischio in adolescenza
Possiamo anche chiederci quanto gli adolescenti, coinvolti in questo tipo di rischio, ne comprendano l’effettiva gravità:(https://formazionecontinuainpsicologia.it/come-percepiamo-rischio/?srsltid=AfmBOopKwinnUea1LJfVaDtM0xqPeDfa5snwDquwrqlDFLcomikXgdZi )
“Per iniziare, gli individui possiedono due modi fondamentali con i quali comprendono il rischio: un sistema di tipo intuitivo ed un sistema di tipo analitico.
Possiamo ricondurre i processi analitici come una modalità di pensiero ‘lenta’, consapevoli e molto costosi per le nostre energie cognitive mentre i processi intuitivi sono ‘veloci’, rapidi, inconsapevoli, economici ma al tempo stesso poco accurati nella valutazione del rischio. Eppure, è il sistema che utilizziamo quotidianamente e che ha permesso la sopravvivenza della specie.
Quest’ultimo processo cognitivo si basa su immagini e associazioni, collegate alle emozioni attraverso l’esperienza.”
L’incapacità di distinguere il bene dal male
Manca però la vera questione, irrisolta: la capacità di distinguere il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che non lo è.
In modo impietoso possiamo concludere che, dal punto di vista affettivo, i giovani coinvolti in queste sfide mancano di “ educazione “ nel senso nobile del termine: non è stato loro insegnato a vedere la bellezza, nei loro corpi, nei corpi dell’altro/a, nel bambino che possono contribuire a dare alla vita.
In questa esperienza estrema della sfida al sesso per gravidanza che si conclude in aborto, ci sono solo vittime: la donna che deturpa la santità del proprio corpo, un tempio devastato nella sua profondità; l’uomo, che sia trascinato nel male o artefice e protagonista, ridotto ad animale da monta ( e quindi negazione del concetto vero di Uomo); vittima estrema poi il bimbo innocente che viene abortito, cioè ucciso prima di vedere la luce.
Quanta responsabilità può, in quest’ultimo caso, avere la facilità di accesso all’aborto, tramite la legge 194, ormai utilizzata in spregio del suo originale obiettivo? Quanta responsabilità può esserci nella diffusione della RU486 che ormai è il mezzo privilegiato per la interruzione di gravidanza? Se tutto si riconducesse al “ Male di vivere” di montaliana memoria?
Ricostruiamo l’umano insieme. Proviamoci almeno.
Prof. Vittoria Criscuolo
Vicepresidente del Comitato “ Pro-life insieme “
Presidente del Movimento per la Vita di Varese