RU486: “Ipazia Liberedonne” spaccia per sicuro l’aborto farmacologico

https://www.cesenatoday.it/eventi/l-educazione-sentimentali-e-i-nuovi-adolescenti-l-incontro-con-il-pedagogista.html
L’educazione sentimentale e i ‘nuovi adolescenti’, l’incontro con il pedagogista

Quanto riportato nella presentazione di questo incontro sembra ragionevole: promuovere l’attenzione dei genitori al colloquio con i figli su tempi importanti, ai quali peraltro dovrebbero fornire in primo luogo buon esempio con la propria condotta, che sarebbe quindi proposta imitativa.
Si resta peraltro perplessi quando si visita il sito di Ipazia Liberedonne, che afferma di fornire valida informazione ad esempio con la campagna “Non è un veleno: La RU486 ti garantisce un aborto sicuro.”
In primo luogo  difendere la salute delle donne richiede prendere coscienza di quanto affermava un professore di ostetricia-ginecologia che praticava aborti: presso la Clinica Mangiagalli di Milano Giorgio Pardi: fu il primo ad eseguire un’interruzione di gravidanza in Italia dopo l’introduzione della 194/1978, ma riteneva più che necessaria la presenza dei CAV Centri di Aiuto alla Vita accanto ai reparti di ostetricia. Era e rimaneva (illogicamente) a favore della 194/1978. Rilasciava tuttavia questa dichiarazione: «Sono ateo, l’ho già detto? Io non credo in Dio, non ho la grazia della fede, che vuole che le dica? Quindi scriva scriva scriva che il dottor Pardi Giorgio è ateo o, se preferisce, è un laico. E aggiunga anche che per ritenere l’aborto un omicidio non serve la fede. Basta l’osservazione. Quello è un bambino. L’aborto è un omicidio. Difendo ancora la 194, ma è soprattutto nella parte a tutela della vita che andrebbe applicata. Perché l’interruzione di gravidanza è una ferita che non si cicatrizza». https://www.tempi.it/giorgio-pardi-laborto-un-omicidio/
Il procurato aborto dovrebbe quindi essere evitato scrupolosamente in considerazione non solo della vita del bambino concepito, bensì della salute della madre che abortisca.

“Sicurezza” della RU496

Riguardo alla RU486 i dati sulla sicurezza forniti dall’azienda produttrice Danco, così come quelli dell’FDA, che indicano che incorre in complicanze «meno dello 0,5%» delle donne, si basano su dieci studi clinici di oltre dieci anni fa, per un totale di 30.966 aborti con RU486. In tale periodo i criteri per la somministrazione della RU486 erano molto più selettivi: prima del 2016 le donne potevano ottenere il mifepristone solo da un medico e dovevano sottoporsi a tre visite di persona; in seguito le visite sono state ridotte a una; infine sono state completamente eliminate. Negli ultimi anni, le donne possono ottenere il mifepristone online per abortire da sole a casa. Inoltre all’inizio la Ru486 si poteva usare solo fino a sette settimane, poi negli USA il limite è stato esteso fino a dieci settimane (in Italia fino a nove) e,  come noto, con l’aumentare dell’età gestazionale aumenta l’incidenza delle complicanze. Conseguentemente sono aumentati i rischi per le madri che abortiscono con sostanze chimiche, ma la loro documentazione è rimasta deficitaria, poiché dal 2016 l’FDA ha eliminato l’obbligo di segnalazione delle complicanze.
Di fronte a questo stato di cose e di omissioni delle segnalazioni,  J.B. Hall e R.T. Anderson hanno preso in esame le richieste di rimborso alle assicurazioni relative a 865.727 aborti con il mifepristone dal 2017 al 2023: 865.727 casi sono un numero 28 volte più elevato rispetto al campione di 30.966 dichiarato da Danco e da FDA: il 10,93% delle donne ha subito eventi avversi gravi entro 45 giorni dall’aborto chimico, con un tasso reale di complicazioni gravi 22 volte più elevato rispetto a quello dichiarato «inferiore allo 0,5%».
Nella realtà quindi  più di una madre su dieci che abortisce con RU486  subisce serie complicazioni:  infezione (11.707 casi pari all’1,34%), sepsi (824 casi pari allo 0,10%), emorragia (28.658 casi pari al 3,31%), necessità di trasfusione (1.257 casi pari allo 0,15%), gravidanza ectopica (3.062 casi pari allo 0,35%), ricovero in ospedale correlato all’aborto (5.699 casi pari allo 0,66%), altre complicazioni peculiari dell’aborto non specificate (49.169 casi pari al 5,68%), eventi avversi cardiaci e polmonari, trombosi, anafilassi (reazione allergica grave e potenzialmente letale), pericolosi per la vita (1.956 casi pari allo 0,22%), necessità di intervento chirurgico. L’Eppc ha inoltre rilevato che 40.960 donne, pari al 4,73%, si sono recate al pronto soccorso per una visita correlata all’aborto.
Inoltre a causa del fallimento dell’aborto chimico 45.498 donne (5,25%) hanno avuto bisogno di una seconda procedura: 24.563 con aborto chirurgico, 27.896 di nuovo con RU486. Quasi 7.000 donne hanno affrontato un secondo tentativo fallito con RU486 ed infine aborto chirurgico. In pratica i dati reali derivanti dai pagamenti delle assicurazioni mostrano un tasso di fallimento del metodo chimico del 5,26%, cioè il doppio rispetto a quanto riporta l’FDA sull’etichetta del mifepristone (2,6-3,8%).
I ricercatori affermano che «se al 10,93% degli eventi avversi gravi, visto in precedenza, si aggiunge il tasso di fallimento del metodo chimico, aggiustato per evitare il doppio conteggio, si constata che il 13,51% delle donne (circa una su sette), sperimenta almeno un evento avverso grave o un successivo aborto ripetuto entro 45 giorni dal primo aborto con il mifepristone».
Hall JB – Anderson RT, The abortion pill harms women: Insurance data reveals one in ten Patients experiences a serious adverse event. EPPC Ethic & Public Policy Center https://eppc.org/publication/stop-harming-women/
Si deve quindi sperare che il pedagogista offra informazione conforme a quanto riportato nella presentazione. Mentre disinformazione è quella di chi occulta la realtà del procurato aborto assolutamente nociva sia al nascituro sia alla madre abortente.

Dott. Luciano Leone
Medico Chirurgo, specialista in Pediatria
Comitato ProLife Insieme

http://www.prolifeinsieme.it