Prevenire l’aborto e conoscerne le conseguenze, è possibile

Spett. Direttore,
Anna Ferri, su “Domani” di giovedì 12 dic 2024, pag.14, ha proposto una serie di considerazioni che chiamano direttamente in causa i “prolife” e che suscitano alcune domande.https://www.editorialedomani.it/fatti/aborto-farmacologico-donne-emilia-romagna-interruzione-volontaria-gravidanza-ah8vki58
Lo spirito democratico ed inclusivo che caratterizza il vostro giornale mi fa ben sperare che vogliate accogliere queste mie riflessioni, allo scopo di contribuire ad un dibattito sereno, proficuo, pluralista e non violento.

Se vogliamo siamo liberi di credere a qualsiasi cosa, anche a Babbo Natale.
Ci sono però dei dati di realtà oggettiva che possono piacere o meno e non possono essere liquidati dal “secondo me”. Facciamo qualche esempio.

L’embrione è un essere umano, dato oggettivo

Che l’embrione (lo zigote, il feto) sia un essere umano è un dato oggettivo e incontestabile. È un essere umano in divenire esattamente come un neonato o un bambino che domani sarà adulto o anziano. La tanto idolatrata scienza attesta che non c’è soluzione di continuità nel nostro sviluppo, dal concepimento alla morte.
Direi che su questo “statuto ontologico” dell’embrione non si può discutere. Viceversa è discutibile il suo statuto etico e giuridico, certamente: per i prolife in nome del principio di uguaglianza e non discriminazione l’embrione non può essere eliminato, così come non possono essere eliminati gli innocenti per quanto possano essere ingombranti o fastidiosi (se la sua morte è davvero necessaria per salvare la vita della madre, l’aborto è lecito persino per i cattolici più integralisti).
Da ciò, razionalmente, discende che l’aborto è in se stesso violenza ai danni del piccolo, innocente, indifeso. Pregare, parlare, spiegare, mostrare, denunciare questa violenza è un dovere di qualsiasi persona che davvero voglia dirsi democratica.

Si può scegliere di diventare madre prima che il figlio sia concepito

Altro dato oggettivo è che si può scegliere di diventare madre prima di concepire un figlio. Dopo che il figlio è stato concepito, volente o nolente la donna è madre. Una madre che non vuole il figlio e che decide di eliminarlo (sarebbe molto meglio per tutti se lo lasciasse in ospedale dopo la nascita) resta madre (di un figlio morto).
Altro dato scientifico oggettivo è che i sessi siano due e che a prescindere da ciò che una “si sente”, se è madre, è donna. Poi la scienza o la fantascienza possono inventare mille artifici per sovvertire la natura. Forse un giorno i bambini cresceranno in una macchina, come in Matrix, eliminando radicalmente la maternità, ma ogni cellula del corpo di una donna continuerà ad essere contrassegnata dall’XX (e quelle dell’uomo dall’XY) non c’è plastica o cura ormonale che possa superare questo dato di realtà.

Gli obiettori di coscienza non limitano l’accesso all’aborto

La demonizzazione degli obiettori di coscienza è fuori luogo e senza fondamento.
Secondo l’ultima Relazione Ministeriale, nel 2022 il 92, 9% delle madri ha potuto abortire nella Regione di residenza e l’86,9% nella provincia. Quindi pochissime sono state costrette a migrare. Sarebbe interessante paragonare il dato “migrazioni per aborto” con il dato “migrazioni per TAC o PET-TAC”. Se il SSN in Italia funziona male non è colpa dei prolife.
Non solo. I tempi d’attesa tra rilascio del certificato e intervento sono in netta diminuzione e «per ogni 1.000 nascite si conta 1 punto nascita, mentre per ogni 1.000 IVG ci sono 5,2 punti IVG. In proporzione, quindi, i punti IVG sono più dei punti nascita». Insomma: è più facile essere abortiti che nascere.
E infine, «il numero di IVG per ogni ginecologo non obiettore è pari a 0,9 IVG a settimana». Un carico di lavoro decisamente sostenibile, tant’è vero che c’è un buon 7,4% di medici non obiettori che non effettuano aborti: evidentemente non servono.

La dimensione “ solipsistica” dell’aborto

Ferri promuove la “dimensione solipsistica dell’aborto”?
Su Repubblica.it anni fa c’era un articolo che ben riassumeva l’opinione diffusa delle femministe, dagli anni Settanta fino al 2000: l’aborto doveva essere legalizzato per salvare la vita delle donne, per combattere gli aborti clandestini e quella “dimensione solipsistica dell’aborto” che – giustamente – era vista come un gran male per la salute e il benessere delle donne.
Da quando è stata introdotta la RU486, improvvisamente, di queste tragedie (perché già è una tragedia abortire. In più abortire da sola in casa e senza garanzie sanitarie è un tragedia ancor più grande) non sono più tali.
E così Ferri si unisce al coro che canta all’unisono dal 2020 (quando la circolare Speranza ha esteso il campo di applicazione della Ru486 e ha tolto l’obbligo di ricovero) «stop a una non necessaria medicalizzazione» dell’aborto. Eppure, le prime linee guida – del 2010 – che introdussero l’aborto chimico mettevano in guardia in mille modi sulla pericolosità della procedura e sulla necessità di eseguirla in ambiente ospedaliero protetto. Non erano certo linee guida scritte dai prolife. Ma erano dettate da un sincero interesse per la salute delle donne.
In 10 anni tutto è cambiato, senza alcuna base scientifica, ma solo perché l’Oms vuole così e perché “così fan tutti”, con grande gioia per il business delle case farmaceutiche  che producono la pillola abortiva.
Chissà se Ferri ha mai notato che molti dei medici che poi pubblicano i lavori che spiegano quanto sia sicura e innocua la pillola stessa collaborano in palese conflitto di interesse con le case farmaceutiche che la producono.

Conseguenze e rischi dell’aborto a domicilio

Eppure, secondo il ministero, nel 2010 andava «garantito, in considerazione del fatto che la procedura è in parte autogestita dalla donna stessa, che la donna abbia chiaramente compreso il percorso e la possibilità che vi aderisca compiutamente (ad esempio vanno attentamente valutate per una esclusione: pazienti molto ansiose, con una bassa soglia di tolleranza al dolore, con condizioni socio abitative troppo precarie, con impossibilità di raggiungere tempestivamente il Pronto Soccorso Ostetrico-Ginecologico», tanto che «per le minorenni l’IVG farmacologica è sconsigliabile», «è fortemente sconsigliata la dimissione volontaria». Il flusso mestruale abbondante, dopo l’aborto è normale per 10 giorni (insieme a «vomito, nausea, crampi dolorosi addominali, aumento temperatura, mal di testa, diarrea»). Ma «se le perdite fossero importanti, cioè se si dovessero cambiare 4 assorbenti esterni maxi o large nel tempo di 2 ore, è fondamentale andare subito in Pronto Soccorso per una visita e un controllo ecografico». Ferri ritiene giusto lasciare una donna a casa da sola a misurare quanto sangue perde? Nel 2010 appariva «un profilo di sicurezza inferiore dell’IVG farmacologica rispetto a quello dell’IVG chirurgica», poi per magia tutto è cambiato? E nei moduli del consenso informato si spiegano alle donne queste cose?

Le donne hanno davvero diritto al consenso informato

Ha ragione da vendere Ferri quando dice che «non esiste libertà di scelta senza un’informazione corretta e accessibile». Quindi alle donne va detta la verità su cosa è l’aborto, chi c’è nel grembo e quali sono gli efeftti colleterali e avversi della procedura. Nella Relazione ministeriale che presentava i dati del 2020, e nelle precedenti, scrivevano che il numero di donne morte in seguito ad  aborto era “molto basso”. C’erano. Quelle donne morte non contavano (!), ma c’erano. Nel 2021 e nel 2022 il dato è stato semplicemente omesso. Qualcuno si è premurato di accertare, statisticamente, che la legalizzazione dell’aborto non ha salvato la vita neanche a una donna (v. Terzo Rapporto OPA, https://osservatorioaborto.it/dati-aborto-1978-2022-tra-clandestinita-e-indifferenza/): perché, invece di accusare in modo assurdo, infondato e illogico i prolife di essere violenti, perché non si prendono in esame i dati, si rifanno i calcoli e si smentisce la conclusione in base a considerazioni oggettive?

Le conseguenze psichiche dell’aborto sulla donna

E perché Ferri continua ad ignorare le conseguenze psichiche dell’aborto sulla salute femminile che soprattutto dal 2011 in poi, quando la dottoressa Coleman ha pubblicato la sua metanalisi, possono essere ignorate solo da chi è totalmente accecato dall’ideologia?
Le donne – è vero – sempre hanno abortito e sempre abortiranno. Ma quelle che abortiscono si suicidano molto di più di quelle che partoriscono o che non hanno figli. I prolife, che cercano e sperano di salvare la vita dei bambini, sanno benissimo che salvare i figli vuol dire salvare anche le madri.

prof. Francesca Romana Poleggi
per il Comitato Pro-life Insieme