LGBTQIA+ ad ogni lettera che aggiungono mi paiono sempre più confusi. Sembrano essere incanalati in una ricerca spasmodica di non si sa quali diritti, non avendo la minima idea di dove vogliano arrivare, come se fossero in astinenza da rivoluzione.
Di fatto non sanno neppure più di cosa lamentarsi e si inventano strane classifiche come la Rainbow Europe Map 2025 secondo la quale, chi non condivide la promiscuità sessuale e non vuole imporla a tutta la società sarebbe, non si sa come e perché, un odiatore seriale.
In realtà questi movimenti arcobaleno vengono strumentalizzati dalla politica a tutti i livelli per creare scontri tra persone di differente cultura, tradizione e credo, il tutto per ostacolare la coesione sociale e la solidarietà umana, valori che spaventano da sempre chi è al potere.
Mi domando: cosa spinge queste persone che decidono di farsi rinchiudere in una arida etichetta “LGBTQIA+” a manifestare per avere altri diritti? Per quante lettere potranno aggiungere al loro acronimo, questo non rappresenterà mai la loro unicità di esseri umani, ci sarà sempre qualcosa in più da pretendere e da rivendicare perché questa ‘strada dei diritti’ non porta ad una piena realizzazione poiché basata su una falsa ideologia.
Rivendicare “diritti” contro natura ci rende schiavi di noi stessi e ci impone di pretendere sempre di più: non ci basta mai.
Prendiamo ad esempio l’aborto nel mondo occidentale.
L’aborto inizialmente viene legalizzato fino al 3 mese di gravidanza, poi fino al nono mese, poi viene addirittura suggerito in caso di diagnosi di sindrome down o di possibili (ma neppure certe) patologie, arrivando poi alla maternità surrogata a catalogo dove, qualora il piccolo non rispecchi le aspettative dei genitori acquirenti, questi possono annullare “l’ordine” e obbligare la madre “noleggiata” ad abortire.
Un processo simile a quello di reso di un acquisto di un oggetto qualsiasi.
La cultura del consumismo ci ha trasformati in consumatori e nello stesso tempo in oggetti di consumo sia per il sesso, sia per l’aborto; non vediamo più nell’altro un essere umano ma un oggetto da usare per il piacere e nel caso del feto, se non desiderato, da eliminare.
La pubblicità è l’anima del commercio, infatti sia per l’ideologia arcobaleno sia per l’aborto risuonano moltissimi slogan incisivi come “il corpo è mio e decido io” che, sebbene si basino su mezze verità, manipolano le nostre menti rendendoci schiavi di noi stessi.
Noi del Comitato “Prolife Insieme” riteniamo che la vita non sia solo un dono, ma un prestito, e che un giorno la dovremo restituire.
A noi la scelta di come restituirla, scappando da noi stessi e nascondendoci dietro a delle etichette, oppure affrontando anche con fatica la profondità del nostro essere e tutelandone cosí la sua unicità.
Solo facendo pace con noi stessi potremo riconoscere il primo e il più fondamentale di tutti i diritti, il diritto di nascere.
Manuela Ferraro
Per Comitato “Prolife Insieme”