Legge 194. In memoria delle donne vittime dell’aborto

In memoria.

Oggi, nel 47° anniversario dell’infausta legge 194 del 1978, che ha permesso la morte di mio figlio senza che nessuno potesse prendere le sue difese, perché io avevo ‘scelto’, voglio ricordare le donne vittime di aborto.

Mi soffermo solamente sulle donne morte per complicanze fisiche in conseguenza dell’aborto illegale negli anni antecedenti alla legge, che certo ci sono state – plausibilmente non a migliaia l’anno come fu allora sbandierato – e che vanno pur sempre compatite e rimpiante, ma per le quali non mancherà la commemorazione dei tanti favorevoli all’aborto legale.

Un pensiero lo voglio dedicare anche alle donne che donne non sono diventate, le innumerevoli piccole innocenti bambine abortite in tutti questi anni intercorsi dalla legalizzazione, uccise impunemente, che sono sicuramente nella memoria e nelle preghiere dei tanti impegnati in difesa della vita.

In particolare, però, oggi voglio ricordare quelle donne che hanno rimpianto per tutta la vita la loro ‘scelta’, e che sono morte senza trovare la pace. Chi si ricorda di loro? Chi pensa a quante donne hanno sofferto le pene dell’inferno nell’indifferenza generale, perché quel dolore se lo erano autoinflitte, e non potevano chiedere giustizia? La legge avallava come una scelta di salute il male più grande della loro vita – perché questo è per tante donne l’aborto nel momento della presa di coscienza – come potevano trovare da sole la forza per gridare che l’aborto quella salute, spesso fisica ma soprattutto psicologica, gliel’aveva tolta per sempre? Quante donne si sono trascinate nel cammino della vita senza trovare consolazione? E quante, totalmente ignorate e negate, ma sicuramente ce ne sono state, non hanno trovato la forza nemmeno per trascinarsi, e la vita se la sono tolta, suicidandosi, perché lo strazio era troppo pesante da sopportare?

Non possiamo sapere quante donne siano state distrutte dall’aborto legale, quante lacrime siano state versate, quante che potevano diventare madri siano invece rimaste ripiegate sul ventre che non si è più riempito, e abbiano rimpianto per tutta la vita quell’atto.

Io avrei potuto essere una di quelle donne, ma grazie a Dio ho incontrato sulla mia strada la Vigna di Rachele  (www.vignadirachele.org) e oggi il mio dolore è un dolore fecondo, non più sterile e annichilente, che mi porta a lottare per tutte quelle donne che sono state dimenticate dalla società, abbandonate a sé stesse nella tragedia dell’uccisione del proprio figlio. Quella ‘scelta’ tante l’hanno scontata fino all’ultimo respiro, e non per lo stigma sociale o il moralismo oscurantista, ma perché apparteniamo al genere umano, e la coscienza di molte donne ancora non è stata snaturata del tutto.

Il legame atavico che sorge dai tempi dei tempi tra la madre e il figlio nel grembo, se interrotto grida contro il Cielo, e nessuna pillola o terapia psicologica potrà mai mettere a tacere quell’urlo dell’anima.

Solo la Misericordia di Dio può farlo, ma purtroppo forse tante non hanno avuto la grazia di incontrare chi gliene portasse testimonianza, e se ne sono andate nella disperazione.

Ecco perché oggi mi ricordo di voi, care sorelle dal cuore spezzato che non ci siete più: perché nessuna donna venga dimenticata, perché nessuna madre sia abbandonata, perché nessuna sofferenza venga più negata, perché tutto questo dolore non invada più il mondo. Confidando che l’immensa bontà del nostro Dio vi abbia concesso di conoscere, in un modo che ignoro ma che spero con tutto il cuore, i vostri figli in Cielo, e di trovare lassù, finalmente, la pace.

Daria Ballerini

Comitato “ Pro-life insieme “

http://www.prolifeinsieme.it