I maschi di fronte all’aborto.
La prof. Eleonora Granata, volontaria del Cav di Busto Arsizio, in provincia di Varese, racconta l’incontro con le diverse tipologie di padri e le loro reazioni di fronte all’aborto, durante la sua lunga esperienza.
Sono sempre stata convinta che la scelta di abortire, oltre ad essere profondamente ingiusta, perché sopprime un bambino che ha diritto a nascere, non può essere fatta esclusivamente dalla madre. La presenza del padre è necessaria e può portare a soluzioni positive, soprattutto quando si presentano gravidanze difficili per problemi economici, psicologici e sociali.
In Italia la legge 194/78, che permette l’aborto, offre all’uomo la possibilità di essere coinvolto nel percorso solo se la donna solo acconsente. Nel caso in cui questa non lo permetta, l’uomo non può entrare nella decisione, non ne ha alcun diritto.
Se per concepire un bambino c’è bisogno di una mamma e di un papà, perché mai la scelta di abortire o no, spetta solo alla donna e il parere del padre non conta?
Mi sembra giusto affermare che anche il papà dovrebbe avere il diritto di esprimere il suo parere sulla sorte della sua creatura, anche se si trova nella pancia della mamma. Tale decisione non può essere solo una questione femminile.
Il supporto del padre nella gravidanza inattesa
Ci sono padri infatti che, nella scelta difficile della mamma di continuare la gravidanza, offrono possibili soluzioni e aiutano la moglie o la compagna a rimuovere quelle cause che la inducono all’aborto e a decidere quindi per la vita.
Ce ne sono altri, forse un po’ disinteressati o superficiali che non osano o non sanno dare consigli e lasciano alla donna la scelta, le frasi tipiche sono: “Fai tu”, “ Decidi tu”, “ Qualsiasi cosa deciderai per me va bene”. Questi comportamenti non sono forse il frutto di una cultura che si è determinata in questi anni e che ha delegittimato il padre mettendolo ai margini nelle scelte familiari?
Occorre riconoscere tristemente che spesso ci sono uomini che hanno un atteggiamento irresponsabile verso la gravidanza e spingono la consorte o la fidanzata all’aborto. Molti addirittura spariscono, lasciando la donna sola.
In realtà anche un atteggiamento apparentemente rappresentato nelle frasi sopra riportate, lascia la donna sola in un momento in cui invece dovrebbe essere pienamente supportata nel suo “già” essere madre.
Ma altri uomini vogliono diventare padri. A loro non è permesso esprimere un parere positivo verso il proseguimento della gravidanza. In certi casi la donna nasconde il suo stato, decide da sola di abortire e il suo partner non sa neppure di essere diventato padre di un bambino non nato. Del resto la legge 194 ci ha abituati a pensare che l’uomo non ha alcun diritto sulla sorte del bambino appena concepito.
Le origini della legge 194
La 194/78 è nata in un periodo di forte tensione femminista. Le manifestazioni fatte in piazza, per rivendicare la libertà di abortire, erano organizzate quasi solo da donne, che rivendicavano la libertà sul proprio corpo, senza far riferimento né al piccolo in grembo, né tanto meno al papà. Esisteva solo l’autodeterminazione della donna.
In questi ultimi decenni, all’interno delle dinamiche familiari si è passati da un ingiusto maschilismo ad un femminismo esagerato. Forse la donna nel rivendicare un ruolo paritario all’interno della famiglia e nella società ha ricalcato modelli maschilisti e non ha cercato di essere complementare all’uomo. Solo insieme si possono fare scelte che fanno bene a entrambi, alla famiglia e alla società.
Quando una donna decide di abortire in silenzio, senza interpellare il partner, non fa una cosa buona, né per sé, né per il suo compagno. Ci possono essere svariati problemi che la inducono all’aborto: una relazione da poco iniziata o giunta al capolinea, una relazione extraconiugale, una famiglia già numerosa con difficoltà economiche, la previsione di malformazioni del bambino. Ma c’è un padre che ha il diritto di sapere, perché possa intervenire nel suo specifico ruolo e con le sue risorse e capacità . La scelta non spetta solo alla donna e ricordiamoci che il bambino ha sempre diritto a nascere.
Se si vuole il bene della famiglia e delle relazioni interne ad essa, occorre riconoscere al padre il diritto/dovere di impegnare la propria responsabilità in questa scelta che, se portata a termine con l’aborto, costituirà un trauma non solo per la mamma, ma anche per il papà e persino per tutti i componenti della famiglia.
L’aborto ferisce psicologicamente anche il padre
Ho conosciuto la storia di un giovanissimo padre, che non è stato capace di convincere la sua fidanzata ad accogliere il figlio. La ragazza diceva che doveva continuare gli studi e che la nascita del bimbo era, in quel momento, un impedimento alla realizzazione dei suoi progetti e ha deciso autonomamente di abortire. http://centrostudipsicologiaeletteratura.org/2015/05/il-ruolo-del.padre/
Dopo l’evento abortivo il ragazzo si è sentito svuotato, impotente, messo da parte; non aveva potuto difendere il suo piccolo. Il suo parere non è stato ascoltato e neppure quello della madre di lui ( la nonna paterna del bambino abortito) che era favorevole alla prosecuzione della gravidanza, anche lei ha sofferto per la perdita del nipotino. Questo lutto che ha provocato dolore in più soggetti ha causato anche una crisi profonda e insanabile nella giovane coppia. Il ragazzo ha deciso di porre fine alla relazione apparsa ai suoi occhi profondamente egoistica e priva di amore vero.
L’uomo dovrebbe essere tutelato dalla legge nella scelta della vita di suo figlio, perché l’aborto ferisce anche il padre.
Nella statistica psichiatrica si conosce di più lo stress post-aborto della donna, con sintomi depressivi, incubi notturni; ma da anni si sono aggiunti gli studi sul dolore e sullo stress che prova l’uomo nell’evento abortivo, soprattutto quando questo viene subito.
In questo caso si rivelano sintomi come: impotenza, collera e rabbia, uso di sostanze stupefacenti, lutto e tristezza, ideazione suicidaria, maltrattamento del coniuge e dei figli.
Conclusioni
Se l’aborto è un dramma non solo per le donne, ma anche per gli uomini, soprattutto per quelli che subiscono l’atto abortivo, si devono cercare soluzioni.
Innanzitutto a livello culturale è necessaria una svolta di mentalità, un “nuovo femminismo” generato dalla donna stessa. Per superare contrapposizioni e fratture che portano solo sofferenze e stress, è indispensabile che la donna, nella decisione se diventare madre di un figlio non nato o che potrà vedere la luce, riconosca la necessaria presenza del padre accanto a lei.
All’interno di una cultura così pacificata si potrà riconoscere anche a livello legislativo il diritto fondamentale del padre nella difesa della vita di suo figlio.
Mi auguro che questo cambiamento culturale e legislativo avvenga al più presto.
Prof. Eleonora Granata
Pro-life insieme
Volontaria del Centro di aiuto alla Vita di Busto Arsizio ( Varese)