La 194 e il diritto all’aborto: come far prevalere la legge del più forte

Egregio Direttore,

Abbiamo letto sui media le rivendicazioni in merito al diritto delle donne di poter accedere liberamente all’aborto.  Ma per la legge 194/78 l’aborto è un diritto sì o no?
Premessa
Considerando i sofismi cari ai giuristi, che è meglio lasciare agli addetti ai lavori, non è poi così determinante capire se la 194 ha creato il diritto all’aborto, perché in pratica, grazie alla legge vigente, qualsiasi donna incinta che vuole sopprimere il bambino che ha in seno lo fa molto agevolmente.

Però una riflessione in punta di diritto, che mi auguro sia abbastanza comprensibile anche per i non addetti ai lavori è bene farla. Perché sostenere che la 194 non crea il diritto all’aborto è un assist per i tanti – anche sedicenti prolife – che dicono che la 194, in fondo, è una buona legge.

Che cosa è un diritto

Il diritto soggettivo è una pretesa della persona che l’ordinamento garantisce con i propri strumenti coercitivi(tribunali, ecc.). Se io ho un diritto c’è qualcuno (un singolo o l’insieme dei consociati) che ha il dovere di dare, fare, non fare qualcosa per me.

Normalmente il diritto soggettivo nasce quando c’è una legge che prevede la tutela di quel determinato interesse.  Però esistono molti diritti che non sono riconosciuti esplicitamente dalla legge, eppure sono tali perché protetti dall’ordinamento.  E infatti molti diritti sono emersi nel corso degli anni prima che le leggi li riconoscessero esplicitamente: si pensi al diritto alla privacy. 

Di contro, purtroppo, esistono diritti che la legge enuncia esplicitamente, che restano solo sulla carta perché sostanzialmente non hanno alcuna effettività pratica. 

Si pensi all’art.1 della l. 40/2004 che vuole la tutela di tutti i soggetti coinvolti nella fecondazione artificiale, compreso il concepito: «Evviva! Al concepito sono finalmente riconosciuti dei diritti» dicono in tanti. Ma all’atto pratico la legge 40 (peggiorata da vari interventi della Corte Costituzionale) consente l’assemblaggio, lo smontaggio e lo stoccaggio degli embrioni come fossero cose. Un numero imprecisato di piccolissimi titolari di “diritti” giacciono per anni congelati nell’azoto liquido finché non “scadono” e vengono gettati via come i bastoncini di pesce andati a male.

Diritto e non semplice facoltà

Torniamo alla 194. In teoria, la madre che abortisce dovrebbe farlo solo in determinate circostanze che compromettono la sua salute (di qui la tesi che l’aborto non è un diritto, ma una facoltà, cioè il permesso in certi casi di far qualcosa che altrimenti sarebbe vietato).

Ma la legge prevede che il medico nel certificato attesti solo due cose: che la donna è incinta; che desidera abortire. Non è tenuto a verificare i motivi della richiesta. Tanto è vero che in quasi 50 anni di relazioni ministeriali sull’attuazione della194 non c’è mai cenno ai motivi che hanno indotto le madri ad abortire.

Inoltre, dato che dal 1946 l’Oms ha definito “salute” non la mancanza di malattia, ma “un completo stato di benessere psico-fisico”, il requisito richiesto dalla 194 è un’ipocrita, finta limitazione: la madre può abortire sempre, basta che dica di volerlo. 

Il dovere di praticare l’aborto

Dicevamo all’inizio che se l’aborto è un diritto, qualcuno avrà il dovere di fare qualcosa per realizzarlo. Ebbene, la 194 descrive a chiare lettere sia il dovere delle Regioni e delle strutture sanitarie di eseguire l’aborto, sia l’obbligo personale del personale sanitario (non obiettore) a praticare l’intervento, somministrare le pillole ecc.: «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articolo 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale» (art. 9, quarto comma, l.194).

Il danno di nascita

Non esistono donne a cui sia stato negato l’aborto (quindi non abbiamo sentenze in merito), ma abbiamo un sostanzioso numero di sentenze (disumane) che riconoscono il diritto al risarcimento per danno di nascita, perfino se il figlio nato è perfettamente sano, a seguito di un aborto mal riuscito. Ancor più se il bambino nasce con qualche difetto che poteva essere previsto nelle indagini prenatali: i ginecologi sono tanto terrorizzati dall’idea di dover risarcire centinaia di migliaia di euro per la nascita di bambini “imperfetti”, che l’aborto eugenetico (che la 194 chiama “terapeutico” in perfetto stile neolingua orwelliana) fa strage anche di tanti bambini sani.

Leggendo con attenzione la 194

 L’unico vero limite che la legge pone all’aborto è dato dalla vitalità del bambino fuori dal grembo materno. Prima di questo momento l’aborto è sempre possibile (perché la nascita pone in pericolo la “salute” della madre).

Dopo che il bambino è in grado di vivere fuori dal grembo,  la madre può comunque disfarsene, ma i medici sono obbligati ad assisterlo.

La legge e la non-legge

Finora abbiamo parlato sul piano della legge “positiva”, cioè della legge fatta (“posta”, in latino “posita”) da chi ha il potere.

Ma fin dall’antichità l’uomo sa che non sempre ciò che è legale è anche giusto. E fin dai primi gruppi di cavernicoli preistorici l’uomo sa cosa è giusto e cosa non è giusto e sa che c’è una legge che gli impone certi doveri. È la legge naturale, insita nella natura umana, superiore a quella legge di natura, degli istinti e delle pulsioni, la legge del più forte, che pure riconosciamo in quanto appartenenti al mondo animale.

La legge naturale è eterna e immutabile ad ogni latitudine e in ogni epoca storica. Le leggi positive, invece sono relative, cambiano e possono violare la legge naturale: basti pensare alle leggi razziali. Cicerone, filosofo e giurista raffinato, in epoca pre-cristiana, afferma che la legge dello Stato che non rispetta la legge naturale è una non-legge e non deve essere obbedita. L’obiezione di coscienza (o la disobbedienza civile), quindi, è innanzitutto un dovere. Se poi l’ordinamento fosse civile e sostanzialmente democratico dovrebbe anche essere un diritto.

La l. 194, che consente la soppressione di un innocente, che consente al grande di eliminare il piccolo, (diritto o facoltà che sia ) è una non-legge, quindi il diritto all’aborto sarà sempre un diritto “disumano” un non-diritto, per quanto si industrino a scriverlo nelle leggi, nelle costituzioni francesi, europee o nei trattati internazionali.

E la legge 194 è e resta una legge palesemente ingiusta, intrinsecamente iniqua: se anche fosse applicata la prima parte e fosse data alla madre una concreta possibilità di tenere il bambino, ella potrebbe sempre scegliere di abortire. Perciò la 194 è una legge da cancellare e bisogna che i prolife abbiano il coraggio di dirlo ad alta voce.

Per approfondire:

Essere PRO-LIFE Oggi – Giacomo Rocchi

 

Prof.ssa Francesca Romana Poleggi

Socio fondatore di “ Pro-life insieme “

Provita e famiglia