Culla per la vita, termica e allarmata per salvare i bimbi non accolti

Si è tornato negli ultimi anni a parlare di “culle per la vita” chiamate un tempo “ruota degli esposti”: tutto ciò visti gli episodi di abbandono di neonati degli ultimi anni, risoltisi con successo attraverso l’utilizzo della culla e visto  anche l’ultimo caso di Bari che, purtroppo, è finito con la morte del neonato.

Sono circa 60 in Italia questi ausili e  pochi  ne sono a conoscenza ma, come il parto in anonimato, possono cambiare il destino di molti casi disperati

È a questo punto indispensabile capire cosa differenzi la culla e il parto in anonimato.

La prima culla: la “ ruota degli esposti” del XII secolo

La prima ruota degli esposti, così si chiamava anticamente la culla per la vita, nacque nel 1188 in Francia presso l’ospedale dei canonici di Marsiglia.
Ne seguirono poi altre visto il numeroso caso di abbandoni.
Il termine “esposto” stava a significare “neonato abbandonato” ed ha avuto origine nell’antica Roma dove, chi non desiderava riconoscere il proprio figlio lo poteva esporre presso la “columna lactaria” luogo in cui si recavano le donne che non potendo avere figli  erano pronte ad adottare il piccolo “esposto”.
Nello stesso periodo la ruota comparve anche in Italia grazie a papa Innocenzo III , impressionato dai tanti cadaveri di neonati raccolti dai pescatori nel Tevere.
All’inizio della seconda metà dell’800 si contavano nel nostro paese circa 1.200 ruote.
Strumenti semplici ma che, date le condizioni di povertà estrema allora diffuse, avevano un enorme valore umano.
Furono poi chiuse verso la fine del 1800 perché le autorità si convinsero che la ruota rendesse troppo facile per chiunque liberarsi di un figlio. Si contavano ogni anno infatti 40 mila neonati abbandonati.Nel 1923 tutte furono ufficialmente soppresse .Non v’è dubbio che questo semplice congegno avesse, per svariati secoli, salvato la vita a migliaia di bambini.

Dal Medioevo al XX secolo, le nuove culle

Nel 1992, visti i nuovi tristi casi di abbandono, si è tornato a parlare di ruota seppur in una nuova edizione più tecnologica e strutturata di quella antica.
Le culle ripresero vita in diversi luoghi ed attualmente in Italia sono 67 alle cui cure sono stati affidati 15 bambini.
Bambini che ora hanno un nome e un destino di salvezza .
Un altro strumento che la donna può utilizzare qualora non si sentisse pronta a crescere il proprio figlio biologico è “il parto anonimo”.

Il parto anonimo

La legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.

Al neonato non riconosciuto devono essere assicurati specifici interventi, secondo precisi obblighi normativi, per garantirgli la dovuta protezione, nell’attuazione dei suoi diritti fondamentali.

L’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica, presso il Tribunale per i minorenni, della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto, permette l’apertura di un procedimento di adottabilità.
Va da sè che culle e parto anonimo siano le facce della stessa medaglia. Un vero cambiamento di paradigma rispetto alla vita nascente.

Le prime sono strumento utile per chi ha partorito a casa, per chi non è riuscito subito a staccarsi dal proprio bambino, per chi ha bisogno di qualche giorno per salutare il proprio figlio biologico. Non è facile peraltro “metterci la faccia” partorendo in ospedale.

Il secondo è istituto utile per chi ha la forza di staccarsi subito, per evitare di soffrire ulteriormente, dal proprio figlio biologico.

Culle e parto anonimo rispondono allo stesso grande problema: genitori biologici che non possono tenere i propri figli per le ragioni più disparate. Le due proposte raggiungono tipologie di persone differenti.

Sia le culle che il parto anonimo veicolano messaggi di vita e rappresentano la soluzione alla cultura dello scarto.

Uno non sostituisce l’altro semmai si completano a vicenda. Per questo entrambi vanno regolamentati con una legge che ne tuteli l’utilizzo e li renda facilmente fruibili e riconoscibili per tutti.

Angela D’Alessandro

Comitato “ Pro-life insieme “