In un’epoca in cui la retorica dell’autodeterminazione viene brandita come uno scudo invincibile, l’articolo del Partito della Rifondazione Comunista (PRC) pubblicato su CN24TV.it eleva l’aborto a “diritto inviolabile”, condizione essenziale per la libertà individuale, negando che sia un “male necessario”. Questa narrazione, intrisa di ideologia patriarcale capovolta, ignora deliberatamente la realtà scientifica e umana: l’aborto non è un atto di emancipazione, ma una tragica soppressione di una vita innocente, con conseguenze devastanti per le donne e la società.
Innanzitutto, l’affermazione che l’aborto sia radicato su basi scientifiche e non ideologiche è una distorsione. La biologia è chiara: la vita umana inizia al concepimento, quando lo zigote possiede un genoma unico e completo, capace di dirigere il proprio sviluppo. Studi come quelli citati dall’Osservatorio Permanente sull’Aborto (OPA) sottolineano il “dialogo nascosto” tra madre e figlio fin dalle prime fasi, confutando la riduzione del feto a mero “strumento riproduttivo”. La Legge 194/1978, celebrata dal PRC come baluardo di scelta, ha invece facilitato oltre 6 milioni di aborti in Italia dal 1978 al 2022, con un aumento preoccupante nel 2022 rispetto all’anno precedente, secondo i dati ministeriali analizzati dall’OPA. Questi numeri non rappresentano libertà, ma un fallimento collettivo: consultori ridotti a sportelli burocratici, dove la “scelta” è spesso coatta da pressioni sociali ed economiche, non un atto autonomo.
Le conseguenze sulla salute delle donne sono altrettanto ignorate. L’aborto non è una “pratica medica neutra”: ricerche evidenziano rischi di complicanze fisiche come emorragie, infezioni e perforazioni uterine, oltre a impatti psicologici profondi, inclusi disturbi post-traumatici e un aumentato tasso di suicidi, come documentato in studi internazionali e nei report OPA sui costi della Legge 194. Il PRC critica gli obiettori di coscienza, ma dimentica che questi medici, spesso ginecologi cattolici affiliati ad associazioni come AIGOC, difendono l’etica ippocratica contro una legge che privatizza l’aborto, esponendo le donne a procedure solitarie e rischiose, come l’uso della RU486 senza adeguato supporto.
Eticamente, proclamare l’aborto “diritto inviolabile” è un paradosso crudele. Riduce la donna a un’entità isolata, negando il legame intrinseco con il figlio concepito. Come evidenzia l’OPA nelle sue analisi, la Legge 194 fallisce nel prevenire aborti, con report annuali superficiali e incompleti che mascherano l’indifferenza verso la vita nascente. La vera violenza non è negare l’aborto, ma perpetuare un sistema che sfrutta il dolore femminile per fini ideologici, ignorando alternative come il sostegno alla maternità. Citando Michelle Williams, il PRC evoca una “vita scritta di proprio pugno”, ma omette le storie di donne devastate dal rimpianto post-aborto, testimoniate in innumerevoli resoconti pro-life.
In Italia, afflitta da una crisi demografica, promuovere l’aborto come libertà significa condannare generazioni future al vuoto. È tempo di riscoprire la sacralità della vita: dal concepimento, ogni essere umano merita protezione, non eliminazione. Solo così potremo costruire una società che onora davvero la dignità di tutti, madri e figli inclusi.
La Redazione
Comitato Pro-life insieme
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