https://www.medicidelmondo.it/approfondimenti/salute-sessuale-e-riproduttiva/aborto-qualche-numero
Replica all’articolo di Medici del Mondo: “Aborto: qualche numero” del 08.10.2025
Sorprende davvero, per non dire quanto sembri assurdo, che un’associazione di medici, Medici del Mondo (MdM) sia così impegnata a negare il diritto – questo sì! – fondamentale alla vita di un essere umano, vivo e vitale, nella sua fase iniziale di sviluppo nell’utero materno!
Se il 60% delle gravidanze indesiderate, su un totale stimato di 121 milioni nel mondo, vengono interrotte volontariamente in un anno, significa che oltre 72 milioni di bambini e bambine vengono eliminati ogni anno! Ma loro, i MdM, si preoccupano soltanto dei 39.000 decessi di donne che abortiscono senza sicurezza ogni anno. Non considerano affatto che se le donne in gravidanza venissero valorizzate come madri nelle società in cui vivono, venendo sostenute in tutti i loro bisogni materiali e morali, non solo risparmierebbero la loro vita ma accogliendo la vita dei loro figli sperimenterebbero la bellezza di dare loro la vita, da persone vive!
Tutti i numeri che vengono ripresi dai MdM dall’ultima Relazione del Ministero della Salute per l’anno 2022, tentano di esasperare in senso negativo l’applicazione della legge 194 in Italia, come se tutto congiurasse contro il preteso diritto – definito addirittura “fondamentale” – di abortire volontariamente. Ma non tutti i numeri confermano onestamente questo giudizio severo ed unilaterale. Gli “obiettori di coscienza”, ad esempio, tanto disprezzati – e detto da colleghi medici fa davvero male! – come coloro che ostacolerebbero la libera scelta della donna a disfarsi del suo bambino in grembo, non sarebbero aumentati di numero negli ultimi anni, ma “fra il 2014 e il 2022, mentre le IVG sono diminuite del 32,0%, passando da 96.578 a 65.661, i ginecologi non obiettori sono aumentati del 21,5%, passando da 1.408 a 1.711”, come riporta la Relazione ministeriale. Conseguentemente il carico di lavoro medio settimanale del ginecologo non obiettore è in costante diminuzione (da pag.65 della Relazione): “Il dato nazionale è in diminuzione negli anni: erano 3,13 le IVG settimanali medie per ogni ginecologo non obiettore nel 1983; 2,49 nel 1992, 1,68 nel 2011 e 0,87 nel 2022.
Nello stesso capitolo 4 della Relazione, sull’Offerta del servizio IVG e obiezione di coscienza (pag.61), a commento delle valutazioni del parametro 2, inerente ai punti IVG ossia strutture ospedaliere, case di cura private autorizzate, ambulatori ospedalieri e territoriali e consultori familiari disponibili ogni 100.000 donne in età fertile (15-49 aa.), gli autori della Relazione esprimono il seguente giudizio complessivo: “Considerando il rapporto fra i punti nascita e le nascite, e quello fra i punti IVG e le IVG, ne consegue che per ogni 1.000 nascite si conta 1 punto nascita, mentre per ogni 1.000 IVG ci sono 5,2 punti IVG. In proporzione, quindi, i punti IVG sono più di cinque volte i punti nascita.”
C’è poi la promozione intrepida dell’aborto chimico o farmacologico con Mifepristone (RU486) e Misopristolo (Prostaglandina), come modalità sicura ed efficace per le donne che sene possono stare “tranquille” a domicilio ad espellere “quel grumo di cellule” che – ahi loro – a 9 settimane può essere riconosciuto nei suoi tratti fisici in formazione, ma inconfondibili, di bambino, pur nel lago di sangue che lo ricopre. Con una sottovalutazione, quanto meno imprudente, delle complicanze immediate che questa modalità di aborto comporta. La tabella 3.15 a pagina 60 della Relazione riporta le complicanze immediate da IVG e già in essa si pone in evidenza quanto il “mancato/incompleto aborto seguito da intervento chirurgico” abbia avuto un’incidenza del’1,21% rispetto agli interventi chirurgici di raschiamento (0,38%) e di isterosuzione (0,14%). Dunque, questa complicanza risulta essere stata superiore rispettivamente 3,1 e 8,6 volte di più nell’IVG farmacologica.
Un’altra tabella della Relazione, la N.26 – IVG e durata della degenza 2022, può aiutare a comprendere quanto le IVG farmacologiche abbiano necessità maggiore di ricovero ordinario a causa delle complicazioni rispetto alle IVG chirurgiche. Si pone all’attenzione il dato NON RILEVATO molto significativo (per 3.262 IVG) e aumentato di 3,56 volte rispetto a quello dell’anno 2021!
Questo è quanto oggettivamente rilevabile dai dati ufficiali nazionali. E i reports della letteratura scientifica internazionale confermano in modo ancora più evidente la prevalenza netta delle complicanze nell’aborto farmacologico rispetto al chirurgico. Cosa questa, che fa nascere il sospetto che non tutto viene riportato nelle schede di raccolta dei dati per le IVG farmacologiche (del resto il numero maggiore di NON RILEVATO lo potrebbe far pensare).
Le emorragie gravi ad esempio, quelle con perdite di sangue superiore ai mille cc. che necessitano di trasfusioni, sono state 15 volte più frequenti dopo IVG farmacologiche (1/3000 vs 1/200 chirurgiche). Le infezioni pelviche: 1/480 dopo IVG chirurgiche, 1/1500 dopo IVG farmacologiche, 3 volte di più (Mulligan e Messenger, 2011).
Nel report della Multinazionale Marie Stops Australia (non antiabortista) del 2020 vengono considerate le complicanze di tutte le IVG, e la loro incidenza è stata del 6,37%; di queste lo 0,89% erano conseguenti ad aborti chirurgici, e il 5,6% ad aborti farmacologici!
La mortalità conseguente ad IVG farmacologica è stata sempre evidenziata nella letteratura internazionale. Nel N.E.J. Medicine del 2005, Michael Greene valutò l’incidenza della mortalità per IVG chirurgica pari allo 0,1/100.000, mentre quella per IVG farmacologica era di 1/100.000, cioè 10 volte superiore! Questo maggiore rischio di mortalità materna si può attribuire a situazioni particolari conseguenti all’assunzione della RU486 e della Prostaglandina che non si verificano, o sono molto rare nell’intervento chirurgico abortivo: 1) le perdite ematiche notevoli e prolungate nei giorni, causa di shock emorragico; 2) l’infezione da Clostridium Sordelli per la ritenzione dell’embrione e degli annessi della gravidanza nell’utero, causa dello shock settico.
Anche nelle statistiche italiane sulla mortalità dopo IVG è stata riscontrata una incidenza dello 0,084/100.000 per l’aborto chirurgico e lo 0,90/100.000 per quello farmacologico (10,7 volte superiore!) (vedi C.S. AIGOC n. 5 del 28.08.2020).
Per tutte queste evidenze, e non per pregiudizi ideologici o confessionali, è davvero irragionevole promuovere l’aborto farmacologico nella sua forma più disinvolta, a domicilio! Non possono gli interessi economici di risparmio – ammesso che ce ne siano, considerati i ricoveri post-IVG farmacologica i cui numeri non vengono presi in considerazione nel report dei MdM – per la Sanità pubblica giustificare una pratica abortiva che resta comunque dolorosa, nella solitudine, e sicuramente più rischiosa per la donna, specie se al di fuori di un regime di stretta sorveglianza sanitaria.
Si comprende palesemente la finalità che sottende questo enfatizzato favore verso una simile modalità di aborto volontario: banalizzare al massimo la procedura (“due pillole e risolvi il problema”) per arrivare ad anestetizzare la coscienza della donna di fronte ad una scelta così vitale per la sua vita, quale quella di essere madre.
Viene infine presentato dai MdM un vero parodosso: le donne che non vengano soddisfatte nella loro scelta abortiva avrebbero ripercussioni sulla loro salute mentale; mentre quelle che la attuano non avrebbero alcuna conseguenza psichica o psicologica, anzi proverebbero “sollievo” ritendo di aver fatto la scelta giusta. Ma i dati della letteratura scientifica su questo aspetto importante della salute delle donne, correttamente valutati, raccontano cose molto diverse!
Nello Studio Turnaway, citato in un documento dei MdM, viene riportato quanto segue. Su un campione di 161 donne statunitensi, intervistate dopo una settimana dal mancato aborto e a cadenza semestrale, per 5 anni consecutivi, sono emersi i seguenti risultati: “Le partecipanti al sondaggio hanno riferito emozioni sia negative che positive riguardo al rifiuto dell’aborto una settimana dopo. Le emozioni sono diventate significativamente meno negative e più positive durante la gravidanza e dopo il parto. Nei modelli multivariabili, un minore supporto sociale, una maggiore difficoltà nel decidere di cercare l’aborto e nel dare il bambino in adozione sono stati associati alla segnalazione di più emozioni negative. Le interviste hanno rivelato come, per alcuni, la fede nelle narrazioni antiabortiste abbia contribuito alle emozioni positive iniziali. Anche i successivi eventi di vita positivi e il legame con il bambino hanno portato a valutazioni retrospettive positive del rifiuto.” (da “Emozioni a cinque anni dal diniego dell’aborto negli Stati Uniti: contestualizzare gli effetti del diniego dell’aborto sulla salute e sulla vita delle donne”. (H. Rocca,Heidi Moseson, Erica Gould,Diana G. Foster,Katrina Kimporta). Per quanto contenuto il campione di donne intervistate in modo longitudinale nel tempo, non si evidenziano in realtà elementi significativi di sofferenza psicologica, anzi, sembrano prevalere già durante la gravidanza (indesiderata), dopo il parto e a distanza di anni “emozioni positive”!
D’altro canto, è notevolmente nutrita la letteratura scientifica sulle conseguenze psicologiche e psichiche dell’aborto volontario sulla donna. Riportiamo la nota review di Priscilla K. Coleman (Abortion and mental health: quantitative synthesis of research published 1995- 2009, The British Journal of Psychiatry, 2011): sono stati esaminati 22 studi; considerati 36 parametri di 887.831 donne di cui 163.831 avevano abortito. Questi in sintesi i risultati: 81% di quelle che avevano abortito avevano aumentato i loro problemi di salute mentale; il 10% di queste attribuibile esclusivamente all’aborto. Tra i parametri confrontati in chi aveva abortito e in chi aveva partorito, risultano molto elevati l’uso di sostanze (cannabinoidi e alcol), l’ansia, la depressione e i comportamenti suicidari nel primo gruppo di donne.
In uno studio più recente, effettuato su 84.620 donne danesi, si è riscontrato che, se nel primo trimestre dopo l’aborto volontario le donne non dimostrano disturbi psichici, a distanza di 9 mesi e ancor di più dopo un anno, nelle stesse donne gli effetti psicologici compaiono in modo significativo. Col passare del tempo infatti, in concomitanza dell’anniversario dell’aborto, i meccanismi di ‘coping’ della donna iniziano ad essere sopraffatti dal dolore persistente, dal senso di colpa o da altri fattori di stress legati all’aborto. (A reanalysis of mental disorder risk following first-trimester abortions in Denmark. David C. Reardon. Issues in Law & Medicine, vol.39, N.1 2024).
Un’ultima considerazione sui Consultori che, dai numeri riportati nella Relazione ministeriale e ripresi dai MdM, sono numericamente pochi rispetto ai valori standard stabiliti nella popolazione femminile in età fertile e al numero di abitanti, ma non in tutte le Regioni italiane. I nostri colleghi “del mondo” hanno però una concezione – diciamo – alternativa del Consultorio. Nato proprio come Familiare, è finalizzato ad un’offerta di servizi precipui alla vita di coppia e quindi alla genitorialità. Per i MdM sarebbe invece il luogo ideale per corrispondere in maniera univoca ed assoluta all’autodeterminazione femminile relativamente alla scelta abortiva. Un luogo dove la donna si senta incoraggiata e facilitata, senza farle subire traumi di sorta o ripensamenti né giammai rimorsi per la sua libera decisione. Una concezione, evidentemente, sui generis, del tutto sganciata dalla reale funzione che al Consultorio e ai suoi operatori viene attribuita, anche in merito all’applicazione integrale di tutti gli articoli della legge 194.
Indubbiamente le pressioni ideologiche e farmacologiche per i grandi interessi politici ed economici che le sostengono stanno diventando sempre più forti, tanto da confondere nel comportamento deontologico gli stessi medici. Non solo si ostinano a non dare il giusto e supremo valore alla vita umana fin dal suo concepimento – ed in questo si comprende quanto invece sia importante il valore educativo dell’ “obiezione di coscienza”! – ma arrivano a misconoscere anche tutti gli effetti negativi dell’aborto volontario sulla salute della donna. E poi, della grave denatalità non sembra importi nulla! Magari anche loro penseranno di risolverla con la Fivet…
Dr. Alberto Virgolino – Presidente AIGOC
Comitato “ Pro-life insieme “