Egregio Direttore,
Chiedo cortesemente diritto di replica all’articolo
https://secolo-trentino.com/2025/11/07/aborti-in-alto-adige-studio/
Cosa possa spingere qualcuno ad andare ad indagare a posteriori sulle motivazioni che hanno indotto una donna ad abortire resta per me un mistero.
Gli aborti in Alto Adige sembrano essere diminuiti, almeno restando al risultato emerso da uno studio sull’argomento.
Si può però parlare di diminuzione solo inerente a quelli che permettono questo calcolo perché ci sono le evidenze.
Sfuggono tuttavia a tale computo tutti gli aborti eseguiti chimicamente, attraverso l’assunzione delle varie pillole dei giorni dopo, acquistabili anche on-line.
Non sorprende quindi che, davanti alla proposta di analizzare il motivo per cui una donna abbia optato per l’interruzione di gravidanza, qualcuno si sia messo di traverso.
L’ABORTO è sempre un trauma sia per la donna che per il feto il quale viene letteralmente sradicato vivo dall’utero.
Ci sono video che provano che la sofferenza fetale è reale e non leggenda metropolitana.
https://youtu.be/Lqnw3x1URoo?si=1dtYp041lK2i2pDE
Lo dimostra “Il grido silenzioso”, titolo originale inglese “The Silent Scream”, un documentario del 1984 sull’aborto, diretto e filmato dal ginecologo e attivista pro life Bernard Nathanson.
Il film mostra una procedura di aborto ripresa con una ecografia e spiega la tecnica usata per effettuare l’intervento.
Nel video si vede chiaramente il tentativo del feto di scappare dal bisturi per tentare di salvarsi. Ad un certo punto la bocca del bambino si spalanca in una sorta di grido silenzioso come volesse urlare tutta la sua paura.
Prima di diventare attivista prolife Bernard Nathanson è stato un ginecologo abortista.
La vita del medico è cambiata quando ha realmente preso coscienza di ciò che stava facendo.
IL PUNTO è proprio questo: sono consapevoli le donne realmente di ciò che stanno per compiere?
Ha senso andare, magari dopo anni, a vedere il motivo che le ha spinte ad uccidere il proprio figlio?
L’aborto lascia ferite che non cicatrizzano, ogni tanto si riaprono e fanno sentire tutto il loro dolore.
Miete inoltre più vittime in quanto,
oltre alla morte del feto, provoca anche quella interiore della madre e del padre.
Non credo ci sia bisogno di andare a fare una ricerca, del resto poco rispettosa, di quali siano state le cause che le hanno spinte ad abortire.
Quale sarebbe l’obiettivo di questa intrusione? Provare a vedere se, eventualmente, si potesse ulteriormente diminuire questa mattanza analizzandone i motivi?
Le cause per cui si decide per l’aborto sono sempre le stesse:
problemi economici, paura, gravidanze inaspettate o frutto di relazioni non stabili.
Insicurezza lavorativa, problemi di relazione di coppia e una generale mancanza ad assumersi la responsabilità di un figlio.
NON SAREBBE meglio allora provare a vedere se si può fare qualcosa prima anziché analizzare dopo?
Che senso ha intervenire a giochi fatti?
Perché non provare ad investire sulle strutture che possono aiutare veramente le mamme in difficoltà a fare nascere il loro bambino dando loro fiducia?
I centri di aiuto alla vita (Cav)sono realtà esistenti sul territorio ma, data la guerra che ad essi viene fatta, la loro funzione non è più quella di aiutare le donne in difficoltà.
Sono diventati una “succursale” della Caritas, specializzati nella distribuzione di pannolini e di prodotti per l’infanzia.
Naturalmente tutto ciò va benissimo ma disattende l’obiettivo per cui sono stati pensati.
PERCHÉ non introdurre uno sportello nei Triage degli ospedali in cui, personale specializzato, sia in grado di offrire supporto alle donne che ancora sono nel dubbio?
Eppure la legge 194 questo lo prevede esattamente negli articoli 1 e 2. ma tale potenziale e provvidenziale aiuto è ostacolato da chi mette in prima linea il principio della libertà di scelta.
Per coloro infatti che si agitano con l’obiettivo di difendere la centralità della donna sul principio di autodeterminazione è fondamentale che quest’ultima sia lasciata libera di decidere.
Ma concedere del tempo in più per permettere alla donna che sta per abortire di riflettere, magari offrendole la possibilità di confrontarsi
con qualcuno che abbia voglia di ascoltarla rispettandone le scelte, non avvalora il principio di libertà?
L’errore di chi sentenzia dall’alto della propria non conoscenza è pensare che, chi crede che ci potrebbe essere anche la possibilità di decidere per la vita, vada a fare sermoni, cercando di fare sentire in colpa una mamma che rifiuta il suo bambino.
Non è così!
In realtà l’obiettivo è solo dare
tempo a queste mamme per permettere loro di parlare.
Di dare voce a quel NO che impedisce loro di accettare quel figlio.
Spesso infatti si sentono inadeguate, hanno paura di non essere all’altezza magari perché quello è stato “un incidente di percorso”.
Alcune decidono di non volere il
bambino in quanto immerse in una realtà che appare ai loro occhi senza soluzione.
Ecco quindi l’importanza dell’ascolto, un ascolto accogliente e non giudicante come è nella natura dei cav.
Non è raro che le donne in attesa dell’intervento piangano, ed è un pianto a cui nessuno presta l’orecchio, una disperazione vissuta in solitaria e questo è terribile.
Ha senso allora esaminare il “fenomeno” a posteriori?
SI FA UN GRAN DISCUTERE dei danni che sta causando il cosiddetto inverno demografico e delle gravi ricadute economiche sulla società.
Mai però l’aborto viene indicato come causa di questo evidente calo della natalità. Si tende a colpevolizzare le difficoltà economiche delle famiglie, la carriera messa al primo posto ecc.
Di sicuro senza tutti questi bambini mai nati avremmo una percentuale più alta di persone.
Il ricorso all’aborto, oltre che a “svuotare culle”, non fa nemmeno bene alla crescita materiale del Paese perché lo priva della vitalità positiva che avrebbero potuto apportare i bambini ai quali è stato impedito di nascere.
Angela D’Alessandro
Prolife insieme
www.prolifeinsieme.it
