Caro Don Stefano,
Mi permetta di scriverLe in riferimento alla Sua risposta alla domanda del lettore Paolo.
https://www.famigliacristiana.it/blogpost/e-lecito-laborto-dopo-uno-stupro.aspx
Il dolore di una donna vittima di violenza sessuale esige certamente silenzio, ascolto e compassione. In tali circostanze, la Chiesa riconosce la profondità del mistero del male e del dolore umano. Tuttavia, la compassione non può mai essere disgiunta dalla verità sul bene e sulla dignità della vita umana. Come insegna l’Evangelium Vitae (62), “l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, poiché è l’uccisione deliberata di un essere umano innocente”.
Fin dai suoi inizi, la Chiesa ha affermato questa verità non come principio astratto, ma come riflesso della realtà più profonda dell’uomo creato a immagine di Dio. La Didaché del I secolo esorta: “Non abortirai, né ucciderai un neonato” — una testimonianza che manifesta la continuità della fede cristiana nella sacralità della vita. Questa fedeltà al Quinto Comandamento non nasce da una rigidità morale, ma dal riconoscimento che l’essere umano, in ogni stadio del suo sviluppo, è chiamato alla comunione eterna con Dio.L’atteggiamento della Chiesa, dunque, non è quello di chi giudica, ma di chi accompagna. Nella tensione fra giustizia e misericordia si rivela la natura stessa del Vangelo: la misericordia non abolisce la giustizia, ma la porta a compimento restaurando ciò che è caduto. In questo senso, l’opera della Chiesa attraverso iniziative come il Progetto Rachele manifesta una pastorale pienamente integrata: la difesa della vita innocente si coniuga con la guarigione spirituale delle madri ferite.
San Giovanni Paolo II, nella Mulieris Dignitatem (30), ha mostrato come la dignità della donna sia intimamente legata alla sua capacità di ricevere e donare amore, e di accogliere la vita come dono di Dio. L’aborto, che nega questa vocazione alla relazione e alla custodia della vita, rappresenta pertanto una ferita non solo morale, ma anche ontologica alla femminilità stessa.Di fronte a situazioni di estrema sofferenza, la Chiesa non si erge come un’istituzione distante, ma come mater et magistra: madre che consola, maestra che illumina. Essa continua ad annunciare il Vangelo della Vita non per riaffermare una “funzione identitaria”, ma per custodire il bene integrale della persona umana — della madre, del figlio, e dell’intera società.
Prof. Don Francesco Giordano
Presidente del Comitato “ Pro-life insieme “
www.prolifeinsieme.it
