L’autrice commenta il libro di Sabina Pignataro: Nati fuori binario. Infanzie e
adolescenze transgender nell’Italia di oggi.
Un testo, visto attraverso gli occhi della giornalista, che guarda con empatia il mondo
dei minori transgender, attraverso considerazioni e testimonianze.
Non è in discussione la serietà del lavoro svolto dall’autrice, ma qualche commento è
doveroso.
Negli ultimi 15 anni il numero di adolescenti che afferisce ai centri che trattano la
cosiddetta disforia di genere è aumentato del 3500%.
Come spiegare questi numeri? E come spiegare i cambiamenti demografici, che
vedono una predominanza di ragazze in età prepuberale (90%), la cosiddetta Rapid
Onset Gender Dysphoria, laddove prima si trattava perlopiù di maschi molto giovani.
L’autrice cita, ma abbandona troppo precipitosamente, l’ipotesi del contagio sociale,
tra pari o attraverso i social, che invece molti studiosi considerano realistico, tra tutti
la dottoressa Dianna Kenny, psicologa australiana, docente presso l’Università di
Sydney e specializzata nello sviluppo infantile, che nel suo libro: “Gender Ideology,
Social Contagion, and the Making of a Transgender Generation“ (pubblicato nel 2024)
sostiene l’importanza del contagio sociale per l’esplosione dei nuovi casi di disforia di
genere, meccanismo peraltro ben documentato nei disordini dell’alimentazione.
Sempre secondo Kerry i giovani sono particolarmente vulnerabili al contagio tra pari
se hanno sperimentato rifiuto, ostilità e/o isolamento sociale dal gruppo di pari.
Non si può ignorare il fatto che, lasciati attraversare la pubertà, circa l’80%” dei
minori con disforia vede risolversi la condizione, né sminuire il fatto che la
transizione di genere non è una passeggiata, come testimoniato dalle ormai
numerose detransitioners, cioè persone che dopo la transizione si pentono e
cercano di fare il percorso inverso, scoprendo che la transizione non è così
facilmente reversibile come a loro è stato detto.
Per questo essere chiamati con un nome non congruente al loro sesso biologico
(la cosiddetta carriera alias) non è, come detto nell’articolo, qualcosa di positivo,
perché è il primo gradino di transizione sociale, che poi esita quasi
inevitabilmente in transizione medica e poi chirurgica.
Certamente un disagio esiste, e a questo disagio bisogna dare una risposta;
innanzitutto riconoscendolo e trattandolo in maniera adeguata (molti ragazzi/e
convinte di avere una disforia di genere hanno in realtà altri problemi, come
l’autismo, l’ADHD, patologie psichiatriche), in secondo luogo aiutando i soggetti
affetti da disforia di genere, e le loro famiglie, ad attraversare la pubertà, senza
essere lasciati soli ma accompagnati in un percorso di sostegno.
Dottor Gianni Viviani. Medico
Comitato “ Pro-life insieme “