Emancipazione femminile? Il cattivo gusto della scelta di un Liceo

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Ultimamente in un liceo italiano è stata proposta la lettura agli studenti dell’opera teatrale ” I monologhi della vagina”, opera scritta nel 1996 da Eve Ensler che sembra abbia riscosso un gran successo di pubblico quando fu messa in scena.
Naturalmente tutto deciso all’ insaputa dei genitori i quali hanno prontamente chiesto lumi.
Il filo conduttore dell’opera è ovviamente una metafora sulla vagina osservata dal punto di vista dei soprusi, degli abusi e delle violenze che ha subito nei secoli.
Non è solo questo però è l’obiettivo della narrazione, la quale include anche la visione della vagina come organo di piacere.

LE LOTTE FEMMINISTE VANNO BEN OLTRE

Questa opera è il risultato di interviste dell’autrice con donne, anche molto diverse tra loro, ed ha l’ obiettivo di “dare voce al corpo femminile” considerato, sempre secondo Eve Ensler, abusato, e di rendere le donne sempre più consapevoli del proprio piacere e del proprio diritto ad esprimersi.
Racchiude una trentina di monologhi incentrati sulla vagina, alcuni espressi in una sorta di versi poetici, altri in testi narrativi con titoli imbarazzanti quale ad esempio “La donna che amava fare felici le vagine”.
Monologhi fatti da donne diverse sia per estrazione sociale che per conoscenze culturali ma che hanno in comune lo stesso problema: la vagina; ed Eva Ensler, dando voce a questo organo, ha ottenuto un successo strepitoso.
Sarei grata se qualcuno mi spiegasse il motivo di tanto trionfo.
Quest’opera scritta nel 1996 è arrivata decisamente “a scoppio ritardato”.
Le donne, le lotte per vedere riconosciuti i propri diritti in campo sociale, le hanno iniziate molto prima del 1996 attraverso campagne serie pagate anche in termini di pesanti stigma sociali, non di certo attraverso la vagina.
A me questo testo appare come una sorta di ritorno nostalgico al tempo in cui anche portare la gonna sopra al ginocchio faceva storcere il naso ad una società forse un po’ troppo bigotta.
Al giorno d’oggi le ragazze sono molto libere di decidere cosa fare, come fare, quando fare quello che vogliono.
Siamo sicuri che banalizzando la vagina, rendendola protagonista di un monologo non necessario ai fini dell’emancipazione femminile, renda giustizia alle donne?
Quale è il senso di portare questi contenuti in un liceo davanti ad un pubblico adolescente?
Perché usare un testo che intende veicolare temi importanti con contenuti espliciti e spinti? Testi che parlano di violenza e abusi sessuali infantili suggerendo come esperienza sessuale positiva di guarigione dal trauma, esperienze sessuali vissute con una donna adulta?
Oppure facendo riferimento alla sessualità parlandone in modo esplicito?

UNA CADUTA DI STILE

Tanti sono i contenuti di questa opera che, usando come metafora “la vagina” vorrebbero evidenziare violenze, sofferenze, soprusi ecc.rendendola protagonista indiscussa di emancipazione.
Trovo che questa opera teatrale, pensata forse per dare spazio a temi importanti, sia in realtà una caduta di stile.
Usare l’organo riproduttivo femminile per proporre temi scottanti rasenta la volgarità. Toglie grazia all’argomento stesso comportando anche una perdita di qualità nel passaggio delle informazioni.
Sinceramente ritengo che la scelta di proporre in questa modalità, a studenti delle superiori, temi così “sensibili” senza informare le famiglie, stoni rispetto al comportamento che ci si aspetta da un istituto scolastico educativo.
Se questa è la scuola moderna, quella che prepara le nuove generazioni a costruire il futuro, c’è poco da stare allegri.
Anche il Padre che è nei cieli penso direbbe, ad una tale visione:” l’avessi saputo prima…avrei tenuto i dinosauri…!”

Angela D’Alessandro
Prolife insieme
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