Quando si diventa papà: l’uomo e l’abbandono della mamma in attesa

Il dott. Stefano Parenti, psicoterapeuta, offre una chiave di lettura della figura genitoriale maschile di fronte all’evento gravidanza.

L’ennesimo ragazzo sbandato, ribelle ed egocentrato è il protagonista di un filmetto dalle scarse pretese artistiche, tant’è vero che neppure è uscito al cinema, ma da qualche settimana è disponibile su Amazon Prime Video. S’intitola One fast movie. La vicenda del “duro” che poi diviene un campione sportivo (qui è il caso del motociclismo) è piuttosto banale ed è già oggetto di molte altre storie. L’aspetto interessante di questa pellicola risiede nella caratterizzazione dei personaggi: abbiamo a che fare con tre padri molto diversi l’uno dall’altro.

Paternità mancata n. 1

Wes, il giovane “bello e dannato”, s’innamora della ragazza di turno la quale nasconde un figlio piccolo rimasto senza padre. Si tratta della prima paternità mancata, che Wes prenderà su di sé proponendosi come figura sostitutiva. Possiamo subito aprire una riflessione: per le nuove generazioni è l’amore romantico a conferire una direzione alla vita. Come se fosse l’ingrediente fondamentale, che tutto può e tutto aggiusta, ma di cui s’ignora la ricetta: è qualcosa d’irrazionale che poco ha a che fare con la dimensione intellettiva e difatti poco la interroga (noi spettatori, invece, ci chiediamo cosa accadrebbe se la relazione tra Wes e la bella Camila finisse: il bambino subirebbe l’ennesimo abbandono?).Padre figlio

Paternità mancata n.2

La seconda relazione paterna, posta al centro della vicenda, è tra Wes e suo padre Dane: un biker veterano e fallito, tutto donne e motori, narcisista e cinico ma…come spesso accade nelle finzioni hollywoodiane, anche con un cuore. Con un bel neologismo lo potremmo definire un “adultescente”: un cinquantenne con la testa da quindicenne sballato. L’uomo adulto – il vir, come dicevano gli antichi – si distingue per essere un tipo virtuoso: è prudente e giusto, poiché sa controllare la propria emotività con le virtù della fortezza e della temperanza. La prima è la forza del carattere (come la chiama la psicologia contemporanea) che domina gli istinti di fuga, la seconda finalizza le pulsioni sessuali ovvero, per dirla molto semplicemente, aiuta a distinguere il bene dal piacere. Dane non è per niente virtuoso: ha abbandonato Wes e sua madre non appena ha saputo della gravidanza. Il bello del film è che ci spiega anche il perché: non senza difficoltà Dane ammetterà al figlio di aver preso quella scelta egoista per paura che una famiglia gli avrebbe rovinato la carriera.

Gli uomini e la paura

Differentemente dai millennials, per gli uomini sulla cinquantina – i figli del sessantotto – neanche il vero amore è in grado di dare senso alla vita: un falso concetto di libertà (“vietato vietare”) fa apparire ai loro occhi la stabilità delle relazioni come un impedimento. Entrambe le generazioni – e possiamo dire tutti gli uomini del terzo millennio – hanno un nemico in comune: proprio la paura. Il sesso, la droga, la propensione agli abbandoni e ai tradimenti, e aggiungiamoci anche molti altri mali, come l’impulsività, la vigliaccheria, l’incapacità a prestare fede alla parola data, la mormorazione (pensiamo ai social e al grande fratello)…sono dei modi per gestire la paura, specialmente della fatica. L’uomo forte, cioè con la virtù della fortezza al suo fianco, al contrario affronta la paura diversamente: guardandola negli occhi, senza cercare una veloce via di uscita, ma ragionando su quale sia la strada più giusta da imboccare, anche se spesso è quella meno piacevole, meno comoda, meno attraente.

Paternità mancata n.3

Giungiamo infine alla terza paternità del film, quella di Abel, il collega anziano di Dane. Abel ha perso la moglie in un incidente molti anni prima e da allora ha preso Dane sotto la sua ala protettiva. È buono e ha la testa sulle spalle, ma corregge poco le stravaganze di Dane, anzi sembra pure dargli corda. Per svolgere il ruolo di padre non è necessario essere il genitore biologico, come insegnano i casi di adozione ma anche di molti sacerdoti (che non a caso chiamiamo “padri”) e figure importanti che hanno educato tanti giovani, però è necessario incarnare le virtù della paternità che, più che accogliere ed abbracciare (prerogativa della madre), normano e guidano. Non basta sorridere sornioni ed essere teneri, bisogna anche indicare una direzione, attraverso i “sì” che sostengono e i famosi “no che aiutano a crescere”. È la celebre ricerca di senso, ove questa parola un po’ difficile indica proprio la direzione che la vita deve prendere perché sia valida e vitale. Un padre che evita di rimproverare il figlio quando si comporta da incosciente o impudente, penseremmo che stia svolgendo male il suo compito. Così come di fronte alla droga, all’ingiustizia, alla barbarie. Perché il padre c’è proprio per orientare il figlio alla realtà: passare la giornata ad ubriacarsi e farsi le canne è perdere la vita, non viverla.

Quando ha inizio la paternità? Quando un uomo diviene coscientemente un padre?

Il film ci viene in aiuto: si diventa padri a seguito di una decisione. La realtà impone un fatto: c’è un bambino di cui si è responsabili. Si tratta di una responsabilità diretta se si è il genitore biologico, come nel caso di Dane, mentre è indiretta quando c’è un ruolo lasciato vacante, come nel caso di Wes. La decisione che un uomo prende su come stare di fronte a questo dato di realtà, a questo bambino, decreterà la nascita o meno di un padre. La psicologia umana si gioca tutta nel rapporto con il reale, che l’uomo non crea, ma è chiamato a riconoscere e integrare. La biologia spesso fornisce questo dato di realtà che aiuta la psicologia: pensiamo al tema del gender e di come il sesso cromosomico e gonadico (biologia) indichi la direzione per un sano sviluppo di ciò che oggi chiamiamo genere (psicologia). Lo stesso avviene quando il corpo di una donna segnala la presenza di una nuova vita, di cui il genitore biologico è chiamato a diventarne responsabile. Ma è possibile all’uomo voltarsi da un’altra parte, infischiarsene delle ricadute delle proprie azioni, abbandonare una donna che si è solo usata per il proprio piacere emotivo e sessuale, come ha fatto Dane. In questo caso il nascituro sarà un fatherless, un bambino cresciuto da una lone mother, esposto a più fattori di rischio di andare male a scuola, sviluppare un carattere insicuro e disturbi psichici (come attestano le ricerche di psicologia).

Intelligenza, volontà , anima

La differenza antropologica tra un essere umano e un animale risiede in un livello dell’anima che Uomo infinitonessun cane, gatto o delfino possiederà mai: le facoltà dell’intelligenza e della volontà. Con la prima cogliamo il significato delle cose, leggendone l’essenza (intus-legere), con la seconda opzioniamo per il bene, a discapito qualche volta del piacere. Ecco che nel mondo umano tutto parte da una decisione: non basta sedere al posto del conducente per essere l’autista del tram, bisogna volerlo fare. Quanti uomini e quante donne alla scoperta di una nuova vita si fanno prendere dalla paura e vigliaccamente decidono di abbandonare una piccola e fragile creatura? Il numero degli aborti e dei padri che fuggono via dalla vita dei figli è altissimo: in Italia nel 2021 sono state effettuate più di 63mila interruzioni volontarie di gravidanze, mentre nel 2009 l’Istat ha registrato che il 20% dei figli di genitori divorziati non aveva più incontrato il padre dopo due anni dalla separazione.
Dobbiamo pertanto rinnovare la virtù della fortezza: quella che per secoli ha aiutato gli uomini e le donne a dominare la paura, a sacrificarsi per il bene altrui, a sopportare la scomodità e la fatica. Quella per cui ogni vita nascente veniva colta come un dono di cui farsi carico e un’opportunità per far fiorire la propria vita. Quella per cui gli uomini diventano padri ed educano i figli a diventare persone adulte e mature.

Per “ Pro-life insieme “

Dott. Stefano Parenti

Presidente dell’Associazione di Psicologia Cattolica