C’è da domandarsi se tutto questo fermento a favore delle donne in nome e per conto della ideologia femminista sia davvero a vantaggio delle donne. Il femminismo porta avanti battaglie a favore della libera scelta delle donne a poter decidere liberamente di se stesse e del proprio corpo. In apparenza tutto ciò sembra legittimo. Chi non può essere d’accordo con gli ideali di libertà ,uguaglianza e fraternità che sono i coposaldi della nostra repubblica costituzionale. Libertà per tutti gli individui, maschi,femmine e diversità di genere; uguaglianza di diritti e doveri senza discriminazione alcuna e infine fraternità ,siamo tutti figli e cittadini di questo stato e in quanto tali eredi dello stesso patrimonio culturale e sociale. Ma c’è un limite a tanta grazia che ci ha donato la nostra sana costituzione? Certo! La nostra personale libertà non può e non deve ledere in alcun modo alla libertà di nessuno altro. Nessuno può arrogarsi il diritto di dire a un transgender, a un immigrato, a una donna,un uomo,un bambino, un anziano,tu non devi esistere perché mi togli la libertà. A nessuno è concesso di sopprimere la vita di un altro anche se costituisce una minaccia per la propria integrità. La legge del taglione non è applicabile in nessuna democrazia e in nessun caso. E allora come è possibile che in una società così detta civile si possa ammettere di eliminare una vita in nome e per conto dell’affermazione della autodeterminazione? Mi riferisco evidentemente alla legge sull’aborto che consente alla donna, a scapito dell’uomo, di eliminare la vita che porta in grembo sino all’assurdo del nono mese di gravidanza se tale gravidanza è di pregiudizio alla salute fisica e mentale della gestante. Forse che la vita del nascituro conta meno della vita della madre? Non è forse questa una potente discriminazione e diseguaglianza?
E la persona del padre del nascituro quanto conta? Qualcuno si è mai chiesto di quanto valga il suo diritto a essere padre? Non è forse questa una potente discriminazione ?
È vero, una donna non può subire una maternità che rifiuta ma ci sono possibilità alternative all’aborto che siano rispettose della vita, come il non riconoscimento del nascituro in ospedale. Si potrebbe rivedere, in una futura revisione della l. 194, il ruolo del padre dandogli la possibilità di riconoscere il bambino. In ultima analisi val la pena di affermare che il dono della vita non è una prerogativa assoluta della donna, anche se è lei che concretamente porta in grembo il bambino, entrano in gioco altre corresponsabilità che sono quelle del padre e della società, che si devono fare carico di tale importante realtà fornendo gli opportuni sostegni di carattere economico, psicologico e sociale, cosa che allo stato attuale non avviene.
Dott. Isabella Di Giovanna Psicologa Taranto
Comitato “ Pro-life insieme “
http://www.prolifeinsieme.it