“Un’eredità di Papa Francesco” di Don Francesco Giordano

Nato Jorge Mario Bergoglio il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, in Argentina, Papa Francesco è stato il 266° papa della Chiesa cattolica romana e il primo proveniente dalle Americhe. Il suo pontificato, iniziato nel 2013, ha portato cambiamenti significativi al Vaticano e alla Chiesa in generale, rendendolo uno dei pontificati più complessi dell’ultimo secolo.

Vita e formazione

Jorge Mario Bergoglio nacque in una famiglia di immigrati italiani. Suo padre, Mario José Bergoglio, era un ferroviere, mentre sua madre, Regina Maria Sívori, era una casalinga. La famiglia, di modeste condizioni economiche, educò Jorge Mario con un forte senso dei valori familiari, dell’etica del lavoro e della devozione alla fede cattolica. Fin da giovane, Bergoglio fu attratto dalla vita religiosa e nel 1958, a 21 anni, entrò nei Gesuiti. L’ordine dei Gesuiti è noto per il suo rigore intellettuale e il lavoro missionario, oltre che, più recentemente, per il suo impegno per la giustizia sociale. La formazione di Bergoglio come gesuita lo portò a studiare filosofia e teologia in Argentina e successivamente in Spagna. Conseguì anche una licenza in filosofia presso il Colegio Máximo de San José a Buenos Aires. La sua formazione giocò un ruolo fondamentale nel plasmare il suo carattere e i principi che sarebbero diventati centrali nel suo pontificato: l’impegno per il servizio, i poveri e la giustizia sociale.

Sacerdozio e ascesa ad arcivescovo

Prima di diventare vescovo, Bergoglio ricoprì vari ruoli nell’ordine dei Gesuiti, tra cui l’insegnamento, la formazione e la guida della provincia gesuita in Argentina. Il suo approccio pastorale era profondamente influenzato dal carisma gesuita, che enfatizza gli esercizi spirituali, la riflessione personale e l’impegno verso gli emarginati. Nel 1992 fu nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires, diventando arcivescovo della stessa città nel 1998 e cardinale nel concistoro del 21 febbraio 2001. Durante il suo periodo come arcivescovo, si concentrò sulla cura pastorale e sulla semplicità, scegliendo di vivere in un appartamento invece che nel palazzo arcivescovile e preferendo i mezzi pubblici all’auto privata quando possibile. Il suo approccio non si limitava a vivere in modo semplice, ma includeva un profondo impegno con i poveri e gli emarginati, come sottolineava nei suoi insegnamenti. Trascorreva molto tempo nelle zone più povere di Buenos Aires, concentrandosi su questioni di giustizia sociale, istruzione e assistenza ai senzatetto. Il suo lavoro con i poveri divenne una delle sue caratteristiche più note, mentre cercava di portare attenzione alle difficoltà degli svantaggiati e di lavorare per soluzioni concrete alla povertà, anche se le sue proposte spesso generavano dibattiti.

Elezione a papa

Il 13 marzo 2013, dopo le dimissioni improvvise di Papa Benedetto XVI, i cardinali elessero Jorge Mario Bergoglio come 266° papa, e lui scelse il nome Francesco, il primo nella storia papale, richiamando San Francesco d’Assisi per simboleggiare il suo impegno per l’umiltà, la semplicità e la cura dei poveri. La sua elezione fu storica: non solo era il primo papa delle Americhe, ma anche il primo papa gesuita nella storia della Chiesa.

Un’eredità di Papa Francesco

Secondo la maggior parte dei media mainstream, i punti di forza di Papa Francesco includono: umiltà e semplicità, impegno per la giustizia sociale, enfasi sulla misericordia e il perdono, dialogo ed ecumenismo, riforma del Vaticano. Vorrei concentrarmi sulla semplicità della fede. Ricordo che un giorno Papa Francesco disse che la fede è come quella di sua nonna. Pensandoci, questo è il cuore della questione. Nonostante la complessità che circonda la nostra comprensione della fede, non possiamo dimenticare ciò che San Tommaso scrive all’inizio del suo Trattato sulla Fede nella Summa Theologiae: “Come è chiaro dal suo linguaggio, il Credo esprime le cose della fede come termine dell’atto del credente. Tale atto non ha come termine una proposizione, ma una realtà, poiché, come per la conoscenza scientifica, così anche per la fede, l’unico motivo per formulare una proposizione è che possiamo avere conoscenza del reale.” Actus autem credentis non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem. L’atto di fede riguarda la realtà, non solo le parole. Credo che questo sia ciò che Papa Francesco ha cercato di trasmettere. Ha spogliato tutto per arrivare alla realtà della fede. Per questo era molto devoto alle devozioni popolari. Si può immaginare la Sacra Famiglia con la Madonna che sbuccia patate, Nostro Signore che gioca al suo fianco e San Giuseppe che ripara un mobile.

Dio agisce proprio negli eventi ordinari della vita, ed è questo che Papa Francesco ha cercato di insegnare. Sebbene l’ufficio papale richieda un certo protocollo, la rottura di Papa Francesco con le tradizioni legate all’ufficio papale può essere vista come un tentativo di semplificare tutto, anche a costo di cambiare la percezione stessa dell’ufficio. Che lo abbia inteso o meno, Papa Francesco ha spinto molti di noi a riflettere sui fondamenti della fede. Il suo pontificato, con tutte le sue novità, ironicamente non riguardava tanto l’aggiornamento, quanto un ritorno ai fondamenti della fede, il ressourcement, considerando i due obiettivi pastorali del Concilio Vaticano II.

Conclusione:

Personalmente, ho visto così tanti cambiamenti durante questo pontificato che mi hanno sfidato profondamente. La mia fede è stata messa alla prova. Ho dovuto riflettere sulla natura del papato e sulla natura della Chiesa. Nel suo modo unico, Papa Francesco ha confermato noi tipi più accademici nella fede, perché ha sfidato molte delle “trappole” della fede, costringendoci a comprendere il valore della fede e delle sue trappole. Dopotutto, è Martin Mosebach che scrive in L’eresia dell’informità che più veliamo qualcosa, più lo riveliamo, e più lo sveliamo, più paradossalmente lo nascondiamo. Le “trappole” sono i veli che rivelano qualcosa. Almeno, devono essere intese come tali. La forma, la legge, i segni liturgico-sacramentali della fede hanno la loro utilità per le persone umane, dopotutto, anche se non possiamo dimenticare che il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. È un atto di bilanciamento et-et (entrambi e) tra la forma e la materia della fede. Entrambi sono necessari e non sono in contrasto tra loro in un dualismo aut-aut (o l’uno o l’altro).

Sfortunatamente, molte persone sono rimaste confuse da ciò che Papa Francesco cercava di insegnare semplificando le “trappole” del papato, e la Chiesa si trova in un momento ovviamente difficile. Basta pensare al “cammino sinodale”, dove il metodo prende il sopravvento e dove una forma di Chiesa democratica e sincronica che “ascolta” parla, senza necessariamente considerare la “democrazia dei morti” diachronicamente, come Chesterton definirebbe il valore della Tradizione, dimenticando l’“ermeneutica della continuità” di Benedetto XVI, un altro modo di esprimere la tradizione viva della Chiesa. Dopo aver sperimentato tale confusione, alcuni direbbero che il cammino da seguire richiede più attenzione alla liturgia, altri che abbiamo bisogno di più catechesi, e altri ancora che dobbiamo ascoltare il mondo. Credo che abbiamo bisogno di tutti e tre gli approcci. L’attenzione alla liturgia, alla catechesi e alla cultura è fondamentale per la vita della Chiesa. L’espressione religiosa, dopotutto, nutre la cultura, che nutre le arti nel senso ampio delle opere dell’uomo, e la filosofia che le spiega, come ci ricorda Christopher Dawson.

La Chiesa è precisamente l’istituzione necessaria in un mondo molto diviso perché è Cristo che media non solo tra il divino e l’umano, ma anche tra gli esseri umani, e la Chiesa è il Suo Corpo Mistico, il Tempio dello Spirito Santo e il Popolo di Dio, come spiega brillantemente Lumen Gentium nel Concilio Vaticano II. Non possiamo dimenticare che la Rivelazione è fondamentale per contrastare il positivismo e il naturalismo del nostro mondo contemporaneo, e per noi cattolici la Rivelazione è sia la Scrittura che la Tradizione, una Tradizione vissuta nella Chiesa come Corpo Mistico, Tempio dello Spirito Santo e Popolo di Dio. Questo ordine è fondamentale per mostrare che la Chiesa non è una democrazia, ma è guidata dallo Spirito Santo che agisce nei credenti che cercano la volontà del Padre, offrendosi al Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito Santo ogni volta che pregano nella liturgia. Il sensus fidelium di Lumen Gentium 35, quindi, riguarda davvero le dimensioni sincronica e diacronica di una tradizione viva. Questo non può essere dimenticato, e non credo che Papa Francesco stesse cercando di dimenticarlo nonostante alcune delle sue parole e azioni paradossali. È con tali incongruenze che si cerca di comprendere il valore di questo papato, e si capisce che dobbiamo guardare a tutto questo con la prospettiva più ampia della Provvidenza Divina, sub specie aeternitatis. Solo il tempo dirà quale sia davvero la sua eredità.

Don Francesco Giordano 

Rev. Fr. Francesco Giordano, STD
Human Life International, Rome and Europe Director
00165 Roma
Italia
Rev. Prof. Francesco Giordano, STD
Pontifical University of St. Thomas Aquinas “Angelicum”, Faculty of Theology
Catholic University of America Rome Program, Faculty of Theology

traduzione dell’originale su Catholic Exchange

Comitato “ Pro-life insieme “