Egregio Direttore,
Chiedo cortesemente diritto di replica all’articolo pubblicato sulla sua testata
https://www.donnamoderna.com/news/societa/violenza-ostetrica-cos-e-libro-valentina-milluzzo-aborto-terapeutico
Nel primo capitolo del mio ultimo libro, Siamo fatti per Amare (D’Ettoris Editori), ne parlo in modo il più possibile lucido e dettagliato: il termine Violenza Ostetrica è stato pregiudizialmente abbandonato alle sorti del mondo pro-choice. Giustamente quest’ultimo ne ha affinato i contorni e ne ha particolareggiato le sfumature, dandone anche definizioni ben lungi da quelle originali che la venezuelana Ley Orgánica Sobre El Derecho De Las Mujeres A Una Vida Libre De Violencia intende: questa, emanata nel 2007, intende la Violenza Ostetrica come “appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna” (art. 15 comma 13).
E infatti, oltre che il diritto alla vita poco fraintendibile (art. 3 comma 1), le definizioni riguardano strettamente gli interventi ostetrici: “1. Mancata partecipazione alle emergenze ostetriche in modo tempestivo ed efficace. 2. Obbligare la donna a partorire in posizione supina e con le gambe sollevate, con i mezzi necessari a disposizione per effettuare un parto verticale. 3. Ostacolare l’attaccamento precoce del bambino o della bambina alla madre, senza giustificato motivo medico, negandogli la possibilità di prenderlo in braccio e allattarlo immediatamente alla nascita. 4. Alterare il processo naturale del parto a basso rischio, attraverso l’uso di tecniche di accelerazione, senza ottenere il consenso volontario, espresso e informato della donna. 5. Effettuare un parto cesareo, qualora sussistano le condizioni per il parto naturale, senza ottenere il consenso volontario, espresso e informato della donna” (art. 51). I successivi atti legislativi di riconoscimento hanno sempre avuto come obiettivo il parto rispettato e in pochi si sono soffermati sui cosiddetti “diritti riproduttivi” che includono sempre l’interruzione volontaria di gravidanza.
La “nascita rispettata” riguarda sia mamma sia bimbo
La nascita rispettata non se la passa bene né nel nostro Paese né nel mondo occidentale, per il quale ci sono due antitetiche visioni della faccenda: come ho già scritto c’è la visione pro-choice che punta i riflettori sul benessere esclusivamente femminile. Al netto del fatto che il punto di vista di un’ostetrica dovrebbe sempre essere quello che protegge e sostiene la donna nella sua vita sessuale-fertile-riproduttiva, le ostetriche si sono lasciate sedurre dall’ammaliante e ammiccante visione della salute femminile che sovrasta completamente quella degli “altri” coinvolti. Tra questi, ovviamente, il cosiddetto “prodotto del concepimento” che diventa un optional gradito o irricevibile, a seconda spesso di chi si trova di fronte la donna nel momento in cui il test di gravidanza è positivo. L’altro punto di vista, quello pro-life, che dovrebbe tenere conto invece dell’importanza dell’aspetto sistemico del benessere della donna in quanto creatura a immagine e somiglianza divina e metà fondamentale del creato umano, pare non essersi accorto che le donne, in sala parto, vengono spesso maltrattate.
La violenza ostetrica non coincide con la lotta all’aborto
Purtroppo, lo dico con amarezza, le uniche testate giornalistiche che danno voce alle donne, sono quelle di una parte politica e culturale estremamente favorevole ai cosiddetti diritti umani, tra cui l’aborto. Per questo una cospicua parte del mondo pro-life ha identificato e fatto coincidere con “Violenza Ostetrica” con la “lotta pro-aborto”, il che, oltre che falso, è anche ingiusto. Le donne che direttamente o indirettamente vengono costrette a interrompere da gravidanza da partner, familiari, datori di lavoro e ristrettezze economiche, non paiono essere annoverate nell’insieme di chi riceve Violenza Ostetrica, e ciò è bioeticamente ingiusto. Tra queste donne, che vengono dimenticate dal transfemminismo moderno, annovero anche quelle che muoiono in seguito a Fecondazione Extracorporea e gravidanze patologiche. Tra queste la povera Valentina Milluzzo, deceduta anche perché sottopostasi a tecniche invasive per il concepimento dei figli.
La Fecondazione Extracorporea dovrebbe essere annoverata abbondantemente nella Violenza Ostetrica poiché i danni alla salute femminile sono infiniti, per non parlare di quelli sui bambini (tra cui vi è il rischio di morire e il rischio di nascere fortemente pretermine), ma ciò non interessa a chi strumentalizza i termini. La tecnorapina della femminilità non tiene conto della fisiologia e del processo Salutogenico (nel quale annoveriamo la Medicina Riparativa Riproduttiva, anche conosciuta come Naprotecnologie) poiché non fa accumulare ricchezze. Rendere le donne emancipate dalla medicalizzazione eccessiva andatasi a sviluppare negli ultimi anni, è una chimera per chi identifica le donne come mezzo attraverso cui portare avanti la propria opinione culturale (che è l’antitesi della fisiologia).
Gli abortisti hanno strumentalizzato la vicenda di una povera donna
Detto questo, in questo articolo (https://www.donnamoderna.com/news/societa/violenza-ostetrica-cos-e-libro-valentina-milluzzo-aborto-terapeutico) la povera Valentina Milluzzo, è stata “saggiamente” strumentalizzata dal mondo pro-choice perché il mondo pro-life ha temuto l’uso del termine Violenza Ostetrica. Facendolo non ha potuto riconoscere in questo caso, e sicuramente in altri casi sconosciuti, l’abuso di una medicalizzazione che poggia elefantescamente le terga sui cosiddetti “diritti riproduttivi” che potrebbero essere sconfitti se si riconoscesse chiaramente che il corpo delle donne e dei bambini è un mezzo, come dicevo prima, per portare avanti la propria cultura.
Tolte le parti in cui la povera Valentina e i suoi piccini sono abusati per tirare acqua al proprio mulino, tutto ciò che viene scritto è vero. Le sale parto di tanti ospedali sono dei mattatoi. Tra i motivi che spingono le donne ad abortire (indipendentemente dalla religione professata) c’è anche il terrore di rimettere piede in una sala parto. E ciò avviene anche in nosocomi dove la religione professata impartisce, prendendolo in prestito dalla Teologia del Corpo, che il corpo dovrebbe essere divinizzato e non umanizzato. Tuttavia questo punto non è ricordato volentieri, perché per farlo le ostetriche dovrebbero ricevere una formazione nettamente di qualità migliore rispetto a quella odierna. Quindi non potendo rivoluzionare l’assistenza alla nascita, nonostante quella sia una creatura di Dio che avrebbe il diritto di venire al mondo (lì sì che c’è un vero e proprio diritto), si rimane com’è, rifiutando di capire che se ciò che interessa davvero è la venuta al mondo di bambini amati, mentre sarebbe fondamentale assistere qualunque donna come se di fronte si avesse la Madre dell’Umanità (così la chiamava la grande Bianca Buchal, compianta Educatrice Perinatale).
Addossare alle donne gesti di maleducazione, scortesie e eccessiva difesa dei propri spazi denota proprio il fatto che per una donna potrebbe essere rischioso richiedere un servizio di assistenza al parto e teme pregiudiziosamente di essere abusata, anche quando non è così (la psicologia definirebbe questo atteggiamento giustificativo come “gaslighting medico” secondo il British American Journal). Tant’è che diverse di loro si recano in ospedale – sbagliando – stabilendo un rapporto errato dal punto di vista comunicativo. Che ci siano persone maleducate (tra la vasta popolazione sanitaria e quella dei pazienti) è chiaro: ecco perché il primo punto formativo dovrebbe essere sottoporre alla vasta richiesta di diventare operatore sanitario, una perizia psicologica approfondita (cosa che tutti gli operatori di professioni di cura dovrebbe compiere), e poi un continuum formativo sulla Comunicazione e le Relazioni Umane.
Il mondo pro-life prenda in carico la tutela di donna e bimbo
Al netto del fatto che la Violenza Ostetrica esiste, sarebbe doveroso che il mondo pro-life ci facesse i conti e prendesse ciò che suo di diritto: la tutela della vita del concepito va di pari passo con il rispetto nei confronti di chi, quel concepito, lo porta in grembo. Il sunto della questione lo ha espresso magnificamente una mia assistita, Amalia, che insieme al marito è insegnante di religione laureata, donna pia e osservante (lo specifico per capire il tipo). Avendo subìto un’episiotomia a tradimento con la prima figlia (con le induzioni si gioca sempre in modo non lungimirante), con la seconda ha partorito a casa. Il giorno dopo, alla Messa (sì, il giorno dopo la nascita), mi ha detto che dopo quell’assistenza ha capito di voler essere mamma perché è magnifico partorire. Ecco: ripartiamo da qui.
Rachele Mimì Sagramoso
Ostetrica e saggista
Comitato “ Pro-life insieme “
http://www.prolifeinsieme.it