L’aborto è un diritto? No, toglie la vita al bimbo e distrugge la donna

 

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L’aborto è un dramma, mai un diritto

E vediamo perché .

Partiamo dalla sentenza della Corte Costituzionale del 1975: i giudici ritennero che non si potesse parlare di aborto come delitto quando l’interruzione della gravidanza non era altrimenti evitabile per la salute della donna. La prospettiva era evidente: si è dinanzi a due vite umane e solo eccezionalmente si può sacrificare l’una a vantaggio dell’altra. Il messaggio era altrettanto chiaro: c’è un aborto consentito ed un altro no, ed il primo non è la regola.

Interviene, poi, nel 1978, la legge 194, con l’obiettivo di regolamentare l’aborto consentito, sul presupposto che lo Stato “tutela la vita umana dal suo inizio” (art.1), e fermo restando che i consultori contribuissero, fra l’altro, “a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza” (art.2).

La legge 194 introduce uno squilibrio ai danni del bimbo

Sia chiaro: non si vuole quindi fare il peana della legge 194, che va ben al di là della sentenza della Corte Costituzionale e introduce uno squilibrio di tutela a danno del concepito, in evidente contrasto con il principio enunciato nell’art. 1; e neppure si vuole indugiare sulla generalizzata disapplicazione delle disposizioni, pure contenute nella medesima legge, dirette a garantire un’informazione completa alla gestante. Tutte cose che, purtroppo, hanno, di fatto, trasformato l’aborto in un mezzo di controllo delle nascite.

Qui si vuole richiamare l’attenzione sul fatto che pretendere che ciò che è consentito diventi un diritto significa stravolgere completamente l’assetto voluto dalla Consulta e dalla legge 194.

Ed infatti, se l’aborto diventa un “diritto”, ecco le più significative conseguenze:

  1. non ci sono più due vite umane in gioco, ma una delle due viene ridotta a oggetto;
  2. se si tratta di “diritto”, non ha più senso parlare dell’aborto come eccezione nè di eccezioni all’aborto: basta volerlo;
  3. ad ogni diritto deve corrispondere un dovere, di cui si può chiedere conto innanzi ad un giudice: non può esserci, dunque, spazio alcuno per un’obiezione di coscienza;
  4. tutti coloro che provassero a far superare le cause che inducono la donna ad abortire, sarebbero passibili di essere accusati di violenza privata, perché stanno impedendo l’esercizio di un diritto.

Ancor più devastanti sarebbero le conseguenze sul piano costituzionale.

Il diritto di aborto, se inserito in Costituzione, annienta il diritto alla vita del nascituro

Introdurre un “diritto” di aborto, addirittura in Costituzione (come è accaduto in Francia), significa annientare del tutto il diritto alla vita del nascituro ed elevare a supremo principio quello della autodeterminazione individuale assoluta.

Perché allora, tutto questo accanimento? Perché insistere sull’introduzione di un ‘diritto’ quando già c’è-ed è  ampiamente riconosciuta e praticata- la libertà  di abortire?

La ragione, almeno quella che sembra prevalente, è nel fatto che è ineliminabile dal cuore dell’uomo il bisogno che ciò che è legittimo -cioè permesso dalla legge positiva- sia anche in qualche modo lecito, cioè giusto.

Questo è un tempo che ha, però , bisogno sì del diritto, ma del diritto di ciascun uomo e ciascuna donna di essere curati, assistiti, amati dal concepimento fino alla morte naturale.

Non c’è carità senza verità

Solo allora diritto e giustizia combaceranno. Solo allora ogni atto di giustizia sarà  anche -e autenticamente- un atto di amore. Altrimenti, sarà  una contraffazione del giusto rivestita della patina abbacinante ed effimera di un atto di carità  senza verità . Soprattutto nei confronti delle donne.

 

Dott. Domenico Airoma

Magistrato

Vicepresidente del Centro studi “ Rosario Livatino “